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domenica 28 dicembre 2008

Fiducia

La sera della vigilia, qualcuno di noi ebbe l'idea di fare una sorpresa ai bambini, fingendo l'arrivo di Babbo Natale. Raccogliemmo tutti i doni in una carriola ... uno si travestì ... baffi e barba bianca, e cominciammo la messa in scena: “Avete sentito ? Forse c'è qualcuno fuori in giardino...” … tutti a guardare fuori dalla porta finestra, ed ecco comparire nel buio, tutto vestito di rosso, un Babbo Natale che si sbraccia festoso, fra le esclamazioni di tutti.

Noi avevamo saputo dell'iniziativa all'ultimo momento, ed i pacchettini li avevamo preparati in casa, così Paola, la nostra figlia più piccola, li aveva visti. Quando li ha riconosciuti, sulla carriola spinta da Babbo Natale, ha esclamato “Guarda, Babbo Natale è passato da casa nostra a prendere i regali !”.


Come si chiama questa ? Ingenuità ? Fiducia ? Plagio ?


C'erano tutte le evidenze del trucco:  quelli erano i pacchettini preparati dalla mamma !  Ma tutti avevano riconosciuto Babbo Natale... quindi Babbo Natale era andato a casa, a prendere i pacchettini...

La fiducia sembra una forma di resa. Parlo di fiducia, evitando di proposito il termine “fede”, troppo impegnativo per me.

Fiducia per condiscendenza,  o perché non ho alternative... o per sottrarsi all'onere della conoscenza...


La fiducia la tiriamo in ballo quando c'è qualcosa che non possiamo (o non vogliamo) verificare direttamente come vero o falso.   Sono interessanti i casi in cui questa verifica non è possibile, perché riguarda qualcosa che avverrà nel futuro.


Questo è periodo di auspici.   Si usa dire che un anno sta finendo e ne sta cominciando un altro. L'arbitrarietà di questa demarcazione non sembra essere un gran problema, neppure per quelle popolazioni che hanno date diverse dalla nostra per celebrare il capodanno.


Questa arbitrarietà ben si sposa con la formalità degli auguri che ci scambiamo.    Ma dietro al rito ci sono degli auspici, che pronunciamo solo nell'intimità dei nostri pensieri, per nulla superficiali.

Credo ne facciamo tutti, chi più chi meno...

Si dice che non vanno detti, altrimenti non si realizzano;   si dice che bisogna crederci intensamente e si realizzeranno di sicuro;    si dice che si avverano quando non ci speri più... Ma cosa sono ?  Perché farli a capodanno ?


L'impenetrabilità del tempo futuro viene scalfita appena dall'immaginare una situazione a noi favorevole come possibile.  Come mai ci sentiamo così bene quando il nostro desiderio si è formato in pensiero, e lo collochiamo in un tempo impreciso, ma finito, a partire da oggi, e precisamente entro il ciclo delle 4 stagioni ?


Cosa accede l'ultimo dell'anno, che rende più verosimile la nostra fantasia ?


Il ciclo dell'orbita terrestre attorno al sole è sicuramente quello che più influenza la natura vivente,  ma non è certamente l'unico ciclo cosmico percepibile.  Gli auguri si fanno anche nei compleanni,  ma anche qui il ciclo annuale si impone come significativo universalmente.


Non lo so, ma mi vien da dire che la relazione tra la fiducia, e la dimensione tempo, nelle sue metriche palpabili, sia molto stretta.


Ma torniamo al Babbo Natale, che ha preso i pacchettini a casa mia.... tutti noi abbiamo riso. Qualche giorno fa, ci cadde una bottiglia di vino sulla tovaglia.  Come si usa dire, di fronte a quel piccolo disastro, abbiamo esclamato “Allegria !”, alla Mike Buongiorno.   Paola ha osservato seria: “C'è poco da stare allegri”.

Perché abbiamo riso tutti di fronte all'eccesso di fiducia di Paola ?  Lo dico anch'io: c'è poco da stare allegri:  in quante altre situazioni la facciamo noi l'ingenuità di Paola ?   ci dicono che Saddam ha le armi di distruzione di massa, e noi avvalliamo la distruzione di una nazione;  ci dicono che abbasseranno le tasse e noi... perchè diamo fiducia così facilmente ?


E' il tempo che ci imbroglia, il tempo che passa... la fiducia che abbiamo dato, ci ha fatto stare tranquilli quando l'abbiamo data, e questo basta...

La fiducia riguarda sempre qualcosa di favorevole. Non si dice: “mi auspico di fare un incidente stradale”  (se non per cinico sarcasmo)  anche se -in tutta franchezza- è un evento abbastanza probabile. 

Anche quando l'indovino ti prevede un evento nefasto, dargli fiducia significa beneficiare del vantaggio che lui ti ha dato,  fornendoti l'informazione in anticipo,  e consentendoti di prendere provvedimenti per proteggerti da quell'evento.


Da qui, penso, il senso di sollievo dell'esprimere un desiderio, e riporre fiducia nella possibilità che si avveri.  Dare fiducia è il sintomo che il nostro animo è già orientato positivamente verso il futuro:  non è la causa di questa sensazione di ottimismo.... Ma perché a capodanno ?

Beh, perchè è l'inizio:  mica puoi sperare che il film sia bello, quando l'hai visto tutto.... Come quei due che -al cinema- si sono messi a scommettere su chi avrebbe vinto, tra due che, in una scena del film, stavano gareggiando.  Quello che vinse la scommessa,  uscendo dal cinema,  confessò che quel film l'aveva già visto.  “Anch'io” disse il secondo “ma stavolta l'altro mi sembrava più in forma”.

La fiducia è una cosa seria... diceva un vecchio carosello, così, per una sera, sta bene essere esageratamente ottimisti, e riderci a crepapelle !  



sabato 20 dicembre 2008

Crisi

Spaventa, e fa soffrire,  ma mi vien da dire che non dura.

Da incompetente,  s'intende,  ma per me i consumi sono come l'entropia, non possono calare:  può sembrarti, in una certa zona, in un certo periodo, come quando si forma un cristallo, ma nel complesso non possono far altro che crescere... destino inesorabile.

Al massimo calano i consumatori...


Ho pochi soldi ?  Ok, quella spesa non la faccio adesso, aspetto un po'... ma sta sicuro che poi la faccio. La macchina nuova ? Beh, rimando, sei mesi, che so, un anno, ma poi la compero.

Ovviamente se fanno tutti così,  sembra una catastrofe... e parte la cassa integrazione.

L'imprenditore, quando c'è da incassare, mette via,  ma quando c'è da tirare fuori, mette in cassa integrazione...  non lo dico per fare il qualunquista:  nel mio piccolissimo sono imprenditore anch'io...   sono le regole del gioco, chi non le conosce, passa per pollo.    

Vuoi giocare ? Svegliarsi, queste sono le regole.


La base dei consumatori è in continua, drammatica (per le risorse)  espansione, a macchia d'olio: chi si è abituato con la carta igienica, non passa alla carta da giornale.  Casomai la compera al discount (che poi costa meno del quotidiano).


I guru della finanza dicono “vedrete che durerà parecchio”. L'avevano prevista l'impennata del prezzo del petrolio ?   E l'avevano prevista la ricaduta dopo poche settimane ?   Se stessero zitti, non sarebbe meglio ?   Quella volta che lo fanno, dovremmo fargli un bell'applauso, che so, dargli il premio Nobel, chissà che capiscano...


Come mai questa crisi ?  La domanda successiva, è:  "a chi giova ?"...  A chi potrebbe giovare la crisi ?   Beh, che l'economia oscilli,  è necessario ai meccanismi della speculazione, che non guadagna quando il prezzi sono stabili.    Quali meccanismi di stabilizzazione sono stati introdotti dal 1929 in poi ?    Quali freni sono stati messi alla speculazione ?


Speculare è una parola ricca di significati...


Osservare attraverso uno specchio”... perché mai ? Lo specchio non è la realtà:  c'è distacco. Chi specula non si sporca le mani con l'attività su cui scommette.   Compra e vende,  ma non produce,  non impiega...  opera in modo virtuale (cioè lascia che operino gli altri).

Anche come soggetto,  forse,  lo speculatore è poco reale,  nel senso che è una realtà incredibilmente diffusa ed evanescente.   Tu ed io (inconsapevolmente ?)   siamo speculatori, perché abbiamo affidato del danaro a qualcun'altro,  che lo ha affidato a qualcun'altro,  che ha finanziato qual'un'altro,  che ha comperato... e via discorrendo.


Se penso agli speculatori, non immagino una cupola di delinquenti, ma una combinazione di atteggiamenti -ormai eticamente accettati- finalizzati al beneficio personale,  che vuole ignorare l'eventuale sfruttamento di altre persone.   Talmente virtuali da essere irriconoscibili.


Dicono che è una crisi finanziaria,  perché manca liquidità.   Io avevo capito che la liquidità è il danaro.   Qualcosa di fisico.   Mica può scomparire...   Qualcuno ce lo dovrebbe avere, in questo momento.   Che lo tenga nascosto, come Paperon dei Paperoni ?     Sotto il materasso, come i nostri vecchi ?   Se guardi le statistiche della cartamoneta stampata, in circolazione ce n'è milioni di tonnellate:  se qualcuno li avesse bruciati si vedrebbe il fumo.


Fumo, altra parola usatissima, a proposito della crisi.


Andati in fumo in una sola seduta miliardi di euro”... Ma cosa vuol dire ?   Se sono il proprietario -che so- della Fininvest,  e c'è un crollo del titolo,  continuo ad essere proprietario della Fininvest, o no ?  Cosa ci ho rimesso ?    Mica volevo venderla !    Se il mio scopo era venderla,  perché l'ho comperata ?    Diverso è,  se ho i miei risparmi in un fondo,  che mi serviranno quando sarò vecchio;  è diverso perché, quando andrò a chiedere in restituzione i soldi, me ne daranno meno di quelli che avevo versato tanti anni prima.   Non è mica la stessa cosa !   Io non volevo “Essere proprietario del Fondo”, volevo solo fare previdenza...   ma i miei soldi non sono “andati in fumo”.. sono stato vittima di un sistema che non mi consente di fare previdenza...


Su una cosa tutti sono d'accordo, e cioè che la forbice tra ricchi e poveri si è allagata.   Nessuno sembra ricordare che questo fatto è sempre stato foriero di conflitti.   Il confronto con il 29 magari è fuori luogo, e non voglio pensare a quello che è successo dieci anni dopo... però sarebbe meglio stare un po' allerta, e pensare seriamente alle condizioni di vita di quelli che stanno peggio...

Le vicende del mondo,  credo d'aver capito,  hanno il vizio di ripetersi.

martedì 9 dicembre 2008

Natale

Chissà se sarà finalmente un Natale austero.   Senza regali, senza addobbi, senza ingorghi, senza ansia.    Poverelli e sereni, come ad Assisi.
A contemplare lo spettacolo di una nascita.
Penso sia veramente uno spettacolo che merita ammirazione: inizio del tempo individuale.    Reset completo della memoria, come quando ti svegli da un sogno.    Inizio delle percezioni, dei bisogni... delle tribulazioni.
Ieri sera con Paola si parlava della nonna, che è morta qualche mese fa.    Ad un certo punto, le sono venuti i goccioloni agli occhi, ed ha fatto la scafa: “Io non voglio morire”.    E' stata inconsolabile: “Non voglio neanche diventare grande, se no anche tu muori”.
Troppe cose belle adesso … troppo bello stare assieme … troppo bello vivere ... Paola non vuole rinunciarci.
Ma non voglio fare lo strappalacrime, solo considerare a quante cose vere potremmo pensare, contemplando il bambinello,  se solo togliessimo dal Natale la frenesia dei consumi.

Veramente

Veramente, cioè: "davvero", ma anche "sul serio"...

Non ricordo di cosa parlavamo, ma un certo momento il discorso è caduto sulla verità, e allora le ho chiesto:  “Ma cos'è la verità ?”,  per curiosità,  per vedere cosa mi rispondeva.   Sul momento Paola si è schernita:  “Non lo so”,  sorridendo,  ma io insistevo: “Dai che lo sai”,  e mi ha spiegato seria, come si spiega a qualcuno un po' tonto: “Verità è capire le cose”.

Mi chiedo se siamo talmente figli del razionalismo, da considerare vero solo ciò che è illuminato dalla ragione....  e ne siamo talmente convinti, da riuscire a trasmette questa convinzione ad una bambina di 4 anni ?
No, no...  la spiegazione di Paola è -in effetti- elementare, e mi fa riflettere.   Capire è un prerequisito per riconoscere qualcosa come vero.   Paola di sicuro non parlava della scomposizione - analitica - razionale...  ma del "capire" come consapevolezza,   “far proprio” un concetto,  e forse -prima ancora- uno stato d'animo.
Se non conosco, come posso considerare vero qualcosa ? Ma per conoscere, occorre un po' di tempo, un po' di calma.    Se sono ossessionato dai miei bisogni, rincorso dalla fretta, come posso dedicarmi alla distinzione tra vero e falso ?   Avete mai provato a studiare,  con qualcosa che vi assilla,  che so,  il bisogno di andare al gabinetto...  dite la verità: è impossibile !
Così ben venga -e lo auguro a tutti- un Natale sereno, e poverello.
Se fosse di tutti (parlo di noi paesi ricchi),  questa crisi economica sarebbe benedetta.   Se non fosse solo sulle spalle dei più sfortunati,  sarebbe una grande opportunità.   Se fosse un fiore, sarebbe un bucaneve.

sabato 15 novembre 2008

Buio

L'inizio sarebbe “La luce fu”. Uno capisce che prima c'era il buio. Cioè: se anche ci fosse stato qualcosa, non lo vedevi.. come dire: una gran confusione...

A tante persone, specie i bambini, il buio fa paura. Percepiscono come una minaccia, un'incognita, un rischio. Uno dei primi neologismi coniati da mia figlia, riguardava gli occhi del lupo nella favola di Cappuccetto Rosso. Per lei erano “buiosi”, cioè suscitavano le stesse emozioni che suscita il buio.

A me personalmente il buio piace. Se mi capita di alzarmi di notte, mi piace cercare di orientarmi al buio. So che una volta mi prenderò uno spigolo sul muso, ma è più forte di me, come se volessi prepararmi al buio che verrà.


Ma, evidentemente, è questione di gusti. Di sicuro “fare luce” è sinonimo di comprensione, conoscenza, così nel buio resta l'incognito, il mistero, ed è normale cercare di ripristinare in fretta l'illuminazione.

Quando viene la sera, gli uomini andavano a dormire, come tutti gli altri animali... salvo alcuni predatori, molto sicuri del fatto loro, che preferiscono il buio per sopraffare meglio le loro vittime. Bestie da cui è meglio stare lontani. Io penso che tanta vita notturna non ci sarebbe senza l'illuminazione elettrica. Se volessimo far chiudere le discoteche alle 2 di notte, basterebbe sospendere a quell'ora l'erogazione dell'energia elettrica: fine del surrogato del sole, fine della musica, fine della festa, tutti a nanna.

Penso che la luce artificiale sia uno dei segni del potere dell'uomo, e lo abbia reso un po' troppo arrogante.


Ma torniamo al buio, ed alle sue emozioni. Qualcosa spesso associato al silenzio: la privazione del suono. A me capita talvolta di dormire in una casa isolata, e devo dire che lì il sonno è 100 volte più ristoratore. Io credo che al rumore che ci circonda crediamo di esserci assuefatti, perché non lo notiamo più, ma invece ci disturba, e ci fa più cattivi. Ricordo i primi giorni passati in una casa situata adiacente una strada di grande traffico. La prima notte, il rumore disturbava, la seconda notte ho dormito, il sabato, alle 2 di notte mi sono svegliato di soprassalto: “Come mai questo silenzio ?”: ah, era sabato, non passavano i TIR....


Abbiamo bisogno di un po' di buio, e di silenzio.


Così il “fiat lux” ci lascia un po' di rimpianto di quello che c'era prima. Ma la cosa che mi turba di più di quell'incipit, e che se prima mancava la luce, ed ogni cosa era come se non ci fosse, però il tempo, quello c'era. Le scritture ci parlano dell'inizio della luce, non dell'inizio del tempo. Anche quando i cosmologi ci parlano del “big bang”, viene subito da chiedersi “e prima ?”. Stentiamo a immaginare un muro nel tempo, e ci piace immaginarlo infinito nelle due direzioni.


Ma è veramente così ? Esiste un “buio” del tempo ?


Trovo affascinante quel brano dei vangeli apocrifi, dove si descrive la sospensione del tempo che sarebbe accaduta alla nascita di Gesù: tutto restava immobile, perché una cosa straordinaria stava accadendo. In quel momento i movimenti erano impediti (le leggi di Newton valevano perfettamente: niente tempo, niente moto), ma gli angeli glorificavano, e quello che doveva manifestarsi lo faceva senza problemi.

Come nei sogni, che non puoi muoverti, ma il pensiero continua, non senza una sensazione di terrore.

Credo che sia proprio il pensiero che può andare oltre il buio del tempo, che però c'è, eccome, e -per quel che mi riguarda- credo non si farà attendere troppi anni ancora.

Un abbraccio a tutti


martedì 11 novembre 2008

Echi

Non capita spesso di notarlo, perchè viviamo in ambienti rumorosi, però l'eco della nostra voce arriva sempre, e non solo nelle autorimesse sotterranee deserte.

L'eco è come lo specchio per l'occhio. La voce che senti è la tua, l'immagine che vedi è la tua.

L'eco arriva un po' in ritardo, ma lo stesso sarebbe anche per l'immagine riflessa, solo che la luce è molto più veloce, e non si nota. Quando abbiamo sentito in diretta gli astronauti che giravano attorno alla luna (chi ha la mia età), ci dicevano che li sentivamo in ritardo, per via del tempo di andata e ritorno delle onde radio.

Così quello che senti con l'eco, è il suono che c'è stato, e quello che vedi allo specchio è quello che era.


Ma se la riflessione del suono, o dell'immagine, determinano una sfasatura del tempo (il ritardo), rispetto al momento in cui l'evento si è determinato, cosa si può dire della riflessione del tempo ? Che effetti ha ?


Ma, prima di tutto, c'è qualcosa di simile allo specchio,  per il tempo ?


Sarebbe una cosa che ti riporta ad un tempo diverso dall'attuale. Il tempo sarebbe il tuo, ma più precisamente una sua copia, più o meno nitida.

Non è la macchina del tempo, perché quella è stata immaginata per far vivere in un tempo diverso, mentre uno specchio dà solo un'immagine: se vedi uno che fa le smorfie, sei tu che le stai facendo, ed adesso (o meglio, poco fa).   Se senti “Uilalala iu”, sei tu che lo hai appena fatto, non è la roccia della montagna lì davanti.  Non puoi entrare nello specchio per baciare la donna che vedi riflessa, devi rivolgerti a quella vera.

Così lo specchio del tempo altro non è che una rievocazione, dentro la quale non c'è alcuna possibilità di azione.   Come lo specchio ti da la sensazione di presenza di qualcosa che si trova altrove, lo specchio del tempo ti da la sensazione dello scorrere del tempo, ma in modo simulato.

Un romanzo, un film, se ben preparati, producono questo effetto; se sono un romanzo storico, o un documentario, la verosimiglianza aumenta; un'intervista, una telecronaca, ancora di più;  la moviola è il massimo.

Di questi “specchi” si fa un uso massiccio, e non sempre ci viene detto che sono specchi. Come nei labirinti del luna park, restiamo disorientati, e fatichiamo a trovare l'uscita.

Anche se l'immagine non è la nostra, ci immedesimiamo. Qualche giorno fa Paola,  mia figlia, aveva visto a lungo un film e mi ha detto: “Sai papy, che io ci posso entrare nel film ?”. Intendeva dire che si era accorta di partecipare talmente intensamente, che le pareva di essere “dentro”.  La comunicazione pubblicitaria usa questa capacità di immedesimazione, uno specchio deformante, che ti fa credere di essere dove non sei, e desiderare quello che vogliono venderti.


Ma torniamo agli specchi classici: c'è un effetto particolare, che riguarda la simmetria. Allo specchio, quello che era a destra, lo vedi a sinistra, e viceversa. Detto così però è abbastanza impreciso, perché se vi mettete distesi, allora quello che è sopra, diventa sotto. Cioè, le cose si invertono rispetto ai due occhi che guardano.

Cioè, oltre alla riflessione, abbiamo anche una inversione, rispetto al piano di simmetria dei nostri occhi.  Inversione molto particolare, perchè -ad esempio- è diversa da quella del cannochiale, che capovolge, oltre ad invertire destra e sinistra.


E con l'eco ?

La sensazione di destra e sinistra con l'udito è meno dettagliata, ma pure c'è, ed ormai se non è stereofonica, la musica la sentiamo piatta. Il suono riflesso dall'eco com'è ? Si inverte ?

Se qualcuno lo sa, mi fa un piacere se me lo dice...


Ma torniamo al tempo: esistono “difetti” di “riproduzione” di tipo sistematico ? Intendo dire, qualcosa di simile all'inversione simmetrica ?

Errori di percezione subdoli, dei quali ti accorgi solo con l'osservazione attenta, e inevitabili, perché strettamente legati alla tecnica di riproduzione.


Io credo di sì, ed ho qualche idea, ma se avete delle altre idee voi, fatemele sapere.


Ed è il fatto che non sei tu “dentro” al tempo, ma ne sei osservatore.   Se ci pensate, per l'inversione simmetrica non occorre lo specchio.  Se al dentista spieghi che ti fa male il dente “a destra”, lui sa che lo vedrà alla sua sinistra.   E' esemplare la storiella di quella studentessa all'esame di anatomia, che rispondendo alla domanda sulla posizione dell'appendice, disse che era a sinistra.   Accortasi dell'espressione di disappunto del professore, che avrebbe preferito promuoverla, si affrettò a precisare: “a sinistra, entrando”.


L'inversione simmetrica è legata allo scambio di ruolo tra osservato ed osservatore:  l'io, quando diventa visto, si inverte, anche se sono ancora io ad osservarmi.


Cosa cambia, tra essere nel tempo, e osservarlo ?

Innanzitutto la possibilità di azione


Alle volte racconto delle storie a Paola;  nei momenti più drammatici lei interviene e dice “E allora vengo io che la salvo”, o qualcosa di simile.

Alle volte lo specchio è talmente verosimile che verrebbe la voglia di attraversarlo.. purtroppo non si può... è solo uno specchio...


O, per essere più precisi, non è che la tua possibilità di azione, scompaia, è solo confinata localmente, e se raggiunge la rappresentazione riflessa, è solo perché -prima- ha agito sull'unica versione “vera”, quella qui e ora.


Forse ricordate quei documentari, sulla manipolazione di materiali fortemente radioattivi: l'operatore muove delle pinze, ed il movimento viene riprodotto aldilà di un pesante vetro al piombo, per manipolare dei sinistri bussolotti. Oggi al tempo di second life, ci sono guanti ed altre attrezzature per controllare il movimento dell'avatar.


Ma è possibile, agendo nel qui e ora, produrre un effetto (anche ritardato, anche invertito) sull'immagine riflessa del tempo ?


Verrebbe da dire definitivamente no.


Però sono in vena di provocazioni, e vi ricordo che l'immagine riflessa non è necessariamente la rappresentazione dell'originale: ci sono inversioni, distorsioni, ritardi. Se penso a come viene “letto” un fatto storico, a come questa lettura cambia nel tempo, non credo si stia sempre falsificando i fatti. Credo solo che si mette molto che riguarda esclusivamente l'osservatore, cioè il qui ed ora, ma soprattutto, che è impossibile non metterci nulla dell'osservatore....


Cos'è la riflessione dello specchio, senza il suo uomo che la sta guardando ? Così, tutta la produzione di storie (televisive, scritte, radiofoniche) esistono perchè c'è qualcuno che fa da spettatore.

Quest'uomo non lo sa, ma è proprio lui che determina l'esistenza di tutto quel circo attorno a lui. Non sa che probabilmente ha un potere decisivo... tutto sta riconoscere e rivelare le deformazioni, stanare il falso... also... also.

venerdì 7 novembre 2008

Perdere

Che bello vedere Obama e Mc Cain riconoscersi l'onore delle armi: “Sei stato il mio avversario, adesso sei il mio presidente”


Fair play


Non è un caso se è così difficile tradurre questo termine. Noi siamo quelli che spargevano il sale sulle rovine di Cartagine, ed il nemico catturato fuggitivo lo abbiamo impiccato a testa in giù.


Vincere e perdere sono per noi sempre pieni di rancore, e mi sono chiesto come mai nella cultura americana sembra essere così diverso.

Vien da dire che Mc Cain, con l'esperienza del Vietnam alle spalle, sa che la sconfitta è meglio riconoscerla rapidamente, ma è un ragionamento troppo semplicistico.


Perdere è qualcosa difficilmente slegabile dall' “adesso”. Intendo dire, che se sono certo che perderò, in pratica ho perso già adesso. Se avevo perso una cosa, e poi l'ho ritrovata, è inesatto dire che l'ho persa. Perdere si riferisce ad ora; la sofferenza e la rabbia della perdita sono “adesso”.


Tutto cambia se vediamo le cose in un arco di tempo più lungo. “bisogna saper perdere” diceva una canzone di Caterina Caselli, e poi completava “non sempre si può vincere”: cioè “hai vinto che basta, ora accetta anche un po' di sconfitta”.


Il fairplay che viene insegnato ai ragazzi sportivi significa “in questa partita puoi vincere o perdere, ma il bello è giocare, il campionato è lungo e ci sono molte possibilità”. Le regole del gioco sono poi un ingrediente essenziale: devono garantire la possibilità di avvicendamento tra sconfitto e vincitore. Nessun vincitore, sapendo che prima o poi perderà, ha interesse a sovrastare l'avversario.


Mi vengono in mente quegli animali che lottano, e chi soccombe si getta a terra mostrando la vena giugulare come per dire: “Ormai sei in condizione di uccidermi, pensaci bene se ti conviene”.  La diluizione nella dimensione tempo serve a smorzare l'eccitazione del momento.


Poi, nel caso della lotta per la presidenza USA, la chiave del fair play è stato, secondo me, lo spostamento di “campo”: dalla partita tra loro due, sono passati alla partita tra gli USA ed il resto del mondo: “Da noi nulla è impossibile”, come per dire: “Voglio vedere chi è capace di fare come noi, siamo i migliori”... in quella sfida, se vincono, vincono tutti gli americani.


E chi ci perde ? Beh, che la Casa bianca, sia un po' meno bianca, io credo non ci perda nessuno, e spero che nessuna multinazionale di detersivi venga a proporci il candeggio.

martedì 21 ottobre 2008

Confusione

Credo che capiti a chi non è più giovane, come me.   Di avere presente il passato come fosse ora.

Così capita di parlare, con il pensiero, a chi non c'è più, e da un pezzo.

Ieri per radio rievocavano Rinbaud, quando diceva: “io è un'altro”.   Non so bene cosa intendesse, ma mi sento assolutamente d'accordo con lui.    Quando parlo con chi non c'è più,  non sono quello che disbriga le cose quotidiane,  che si afferma (o almeno ci prova),  che prende le decisoni (o almeno crede).

Lui, quello lì, sono io, Roberto (mi conoscete con quel nome).

Ma c'è una grossa differenza con quello che -per un attimo- è fuori del tempo, e si emoziona guardando una vecchia foto, e parla alle persone fissate sulla carta dal nitrato d'argento.

Quale differenza ? (...ora sono obbligato a rispondere ...)  direi la posizione rispetto al mio solito  amico,  il tempo...

Il primo, io, il Roberto piantato sull'adesso, quando parla con i suoi avi, se non pazzo, è almeno un romantico stravagante.   Perchè ?    Beh,  perchè quelli non esistono...   La sua è una perdita di tempo.   Un trastullarsi da perdigiorno.   Pregar Dio che non ci mettiamo tutti a seguire il suo esempio.

Ma se il tempo lo sposti, da unico luogo dell'essere, ad una dimensione, e neppure la più importante, allora spuntano i significati che resistono al tempo (incorrutibili?).

Che poi sono gli stessi che spuntano quando sognamo (incomprensibili?).

Intendo dire, che quello che si dice in un sogno, o ad una foto, non è dettato dall'urgenza, o dalla necessità,  o dalla convenienza.   In quelle situazioni non si mente.

Mi sembra di essere arrivato a dire una cosa ovvia:  sappiamo bene che i valori attuali (successo, benessere, evasione) sono ben diversi da quelli tradizionali (rispetto, solidarietà, accoglienza), e che oggi i valori tradizionali risultano spesso incomprensibili.    E che i valori tradizionali mantengono la loro validità, non perchè trovano delle giustificazioni,  ma perchè inataccabili essendo fuori del tempo.

A me sembra che non abbiamo vocaboli adatti a distinguere bene le cose, e da qui credo derivi buona parte della confusione.   Fatto sta, che star piantati sul breve, e dimenticare il passato sembra essere di moda, ed è estremamente difficile convincerci che -viceversa- il passato attiene all'adesso non meno della radice al frutto.

Questa consapevolezza credo rivaluterebbe (nel senso che darebbe maggior valore)  le azioni di oggi, non per l'effetto sull'immediato, ma per la loro azione nei tempi successivi.   Qualcosa di simile alla preoccupazione degli antichi, di costruire monumenti di granito, affinchè resistessero al tempo che passa.

Che sia esaurito il granito ?   Nessuno sembra pensarci molto al futuro...  preferiamo una politica dissipativa:   smantelliamo Chioto, e rifiutiamo di emozionarci per cose che si collocano in tempi diversi dall'attuale.    O almeno così pensa chi ci governa.    Che poi li abbiamo delegati noi, quindi così pensiamo noi.    Quello che penso io, nel gran macinino della democrazia, scompare.

venerdì 17 ottobre 2008

Carità di Stato

La soddisfazione del capo del governo, per la caduta del “tabù” degli aiuti di Stato alle aziende, ci dovrebbe far saltare in piedi dalla sedia.

Non vi siete accorti che ci stanno sfilando di tasca il portafoglio ?
Sorridendo, come i ladri di professione

Nella solidarietà, chi vuole essere generoso, lo fa per sua scelta, ma se i quattrini gli vengono tolti dalla sua tasca a sua insaputa, si chiama furto.
Anche se chi glieli toglie, volesse darli tutti in beneficienza, si chiama ancora furto ...

I soldi che Berlusconi (ed i suoi compari) vogliono dare alle banche, non sono i suoi: non avrei nulla in contrario se fossero i suoi, ma non è questo che intendono fare.

Si confonde la solidarietà con il furto.

Si dice che, con questa operazione, si vogliono difendere i piccoli risparmiatori.
Accidenti che buon cuore, ma perchè i piccoli pensionati no ? I piccoli disoccupati no ? Quelli che sono piccoli, ma non sono risparmiatori, perchè i soldi li hanno già spesi tutti, loro non li aiutiamo ?
Viene il dubbio, piuttosto, che siano interessati a quelli grandi, di risparmiatori ...

Aiutare chi è in difficoltà è un grande segno di civiltà. Pensiamo a tutte le iniziative di previdenza che nei secoli sono state perfezionate, e che sono il vanto degli Stati moderni: la pensione d'anzianità, l'assistenza sanitaria, l'assicurazione infortuni, ma anche le assicurazioni private. Sono tutti istituti che -come principio di base- prevedono una raccolta di danaro, la costituzione di un fondo, che poi viene amministrato, ed infine usato per favorire i più sfortunati.
Funzionano come ammortizzatori: chi versa la quota sa che potrebbe essere lui a beneficiarne. Non dico che lo faccia volentieri, ma se ne da una ragione.

Non avrei nulla in contrario che gli istituti di credito costituiscano un fondo di questo tipo, per aiutare quelli che si sono fatti “fregare”, ma credo che nessun istituto di credito vorrà mai dare dei soldi per favorire un'altro istituto, perchè sa che quello ha tentato di “fare il furbo”.
Sapevano i rischi... sono stati spregiudicati per battere la concorrenza, offrendo ai clienti tassi fuori mercato, e tenersi più margine...non erano mica ignoranti quelli che hanno deciso queste operazioni.

E allora, dovremmo tirarli fuori noi questi quattrini ? Siamo proprio i più stupidi di tutti ?

Potrei anche essere daccordo di considerare questa una situazione di emergenza, per cui bisogna chiudere un occhio. Io li chiudo anche tutti e due, se lo Stato ha liquidità.... ma voglio esagerare, sono disposto anche a fare un versamento straordinario, una una-tantum... però poi quei soldi li voglio restituiti, e con gli interessi. Per caso a voi risulta che gli istituti di credito regaliano i quattrini ? O piuttosto se li fanno restituire, e chiedono anche un tasso di interesse ? Qualcuno ha mai suggerito che, qualche volta, in situazione di emergenza, li dovrebbero regalare?

Allora perchè dovremmo farlo noi ?

Se l'aiuto che chiedono serve per superare una brutta congiuntura, ma poi si impegnano a lavorare come si deve, io i soldi miei glieli do, ma -quanto meno- vorrei vedere qualche loro manager dimettersi, chiedere scusa, mettere sul tavolo tutti i quattrini che si è preso fino ad oggi, ed andare a fare un diverso mestiere. Che so, l'operatore ecologico. Non gli farà mica schifo ? Il saldatore no, perchè non sarebbero capaci.
Ma che nessuno venga fouri decantando meriti che evidentemente non hanno.

Ma un minimo di giustiza, non possiamo proprio permettercela ?
Ma a voi, non viene voglia di ribellarvi ?
Proprio a nessuno ?

No, No e No, a queste condizioni non siamo d'accordo sugli aiuti di Stato !

E poi diciamola anche tutta, gli aiuti di Stato decisi da quei signori lì, ci convincono ancora meno: mi spiace, ma sono troppo ricchi per dire a noi di essere generosi.

domenica 12 ottobre 2008

Alzati e cammina


Metti che bastava solo dirglielo, e nessuno ci pensava. Metti che non aspettava altro, ma tutti invece preferivano piangerlo morto.


Non gli ha detto: “Guardami”, o “Parlami” ... nulla che fosse rivolto a sé stesso.


Perchè ?


Alzarsi è un prerequisito del camminare, quindi l'oggetto vero della richiesta era proprio muoversi.


Il bello è che non gli ha detto per andare dove.


Ma come, uno è praticamente morto, lo rianimi in un modo spettacolare, e non gli dai nessuna indicazione su cosa fare adesso ? Non lo trovate strano ?




Camminare.




Seguire in modo attivo una traiettoria su questa Terra.




Adesso sei qui, tra un po' non sarai più qui, ma sarai ugualmente, in un'altro posto.




Ci sei andato, o ti ci sei ritrovato ? Anche quando vai volontariamente in un posto, poi non sai mai veramete cosa ci troverai. Anche quando vai a caso, poi ti ritrovi in posti che avevi sempre immaginato, che ti accolgono come si accoglie uno che manca da tanto tempo.




Una volta andavo a passeggio con mia figlia, piccina, sulla spiaggia. Lo scopo era la camminata. Dopo un po' mi chiese: “Dove stiamo andando ?” ed io le risposi: “A zonzo”. Lei sembrò soddisfatta, e continuò a trotterellare al mio fianco. Dopo un po' mi chiese ancora: “Ma quando arriviamo ?” “Dove, tesoro ?” “A Zonzo”.




Un figlio si aspetta che il padre sappia dove sta andando. A noi è assegnato di andare, nessuno è tenuto a dirci dove.




Che sia quello che mangiamo ? Non so la causa, però evidentemente la nostra mente è offuscata. Di questo percorso che stiamo facendo, del modo in cui lo stiamo facendo, parlo prima di tutto per me, non abbiamo consapevolezza.




Eppure tutte le mattine, è questo l'inizio: alzati, cammina.

sabato 11 ottobre 2008

Aspettare

Quando si aspetta, c'è qualcosa che si consuma: l'olio della lucerna, la candela, il tempo. Si consuma nel senso che dopo non c'è più.

E dov'è andato ?

L'olio della lucerna e la paraffina della candela sono bruciate, hanno reagito con l'ossigeno dell'aria, ed ora sono molecolarmente disperse, ma sono ancora qui vicine a noi, ne sentiamo ancora l'odore.    Ma il tempo, dove è andato ?

Non essendo minimamente in grado di dire dove possa essere scomparso, comincia a sorgermi il dubbio che ci fosse veramente anche prima....


Cos'è il tempo futuro, prima che accada ?


Ricordo che da piccolo mi chiedevo come sarei stato quando fossi diventato adulto. Cosa mai avrei fatto -diciamo- a cinquant'anni ?    Mi sforzavo di immaginarlo,  perchè mi sarebbe un sacco piaciuto poter fare subito quelle cose,  senza dover aspettare tanti anni.   L'impresa però non era facile... facevo il conto: “se adesso ho 8 anni e siamo nel 1962, quando ne avrò 50 saremo nel ...” e cominciavo a dubitare che in quel tempo così lontano si sarebbero fatte le stesse cose che -ad esempio- stava facendo in quel momento mio padre.


Dubbio fondato solo in minima parte... lo sforzo però era definitivamente inutile, per il fatto che quel tempo futuro -semplicemente- non c'era...  in quel momento non esisteva per nulla.


Ecco perchè quando si consuma, il tempo scompare del tutto: non c'era mai stato neanche prima !

Bene, ma se prima e dopo non esiste, com'è la situazione del tempo di adesso ?


Beh, l'adesso è simpaticamente presente, ci sollazza di sensazioni svariate...   diciamo che si fa sentire, eccome.   Anzi, forse proprio perchè è così concentrato, che sentiamo come il bisogno di diluirlo,  mettendoci ad aspettare cose future,  o trastullandoci nel ricordo di quelle passate.   In altre parole, mescoliamo cose inesistenti, con quelle reali, come per stemperare col latte una cioccolata troppo carica.


Già, perchè se uno non è abituato, può essere in difficoltà ad affrontare il tempo attuale.   Ci vorrebbe del training, un coach.   Noi i nostri figli li mandiamo allo sbaraglio: capiranno da soli come si fa... anche perchè -veramente- non è che abbiamo capito tanto neppure noi...


In questo momento sono in treno, e fuori è calata la nebbia.   Attorno a me innumerevoli esistenze si svolgono, secondo un loro percorso a me (ed agli interessati) sconosciuto.   Vedo persone che si stanno incamminando verso le loro occupazioni. Uno dice “sono occupato”, ma non è mica lui ad essere occupato, è il suo tempo, è il suo tempo che viene occupato, e non è più disponibile per altre cose...


Dice “se fossi disoccupato, non prenderei lo stipendio”

Uno che non è occupato, mi vien da dire, è libero...   Evidentemente la libertà ha un costo, questo è ragionevole.   Ma metti che uno non ha problemi economici, che so, uno a caso, Berlusconi, cosa se ne fa della libertà che si può comperare in grande quantità ? La perde subito, occupando il suo tempo con una serie di attività, anche più fitte delle nostre.


Allora mi viene da dire che il tempo è come un avvallamento: per quanto lo liberi, tende sempre riempirsi di roba.    Bisognerebbe mettere un cartello “Divieto di scarico immondizie”, o qualcosa di simile, che so, recintarlo, sorvegliarlo.   Oppure stiparlo in modo consapevole: “Parcheggio completo, andate da un'altra parte”, che è quello che fanno i benestanti.


Ed ecco quindi una connessione a sorpresa, tra la ricchezza ed il tempo.    Il concetto di classe sociale, trasformato nel concetto di chi presta il proprio tempo, e chi non si accontenta del suo, ed usa anche il tempo degli altri.


Il tempo, però, alla nascita, è stato dato a ciscun individuo, come lo stomaco, il naso, e gli altri accessori.   Uno nasce che ha tutto questo bel corredo, e non è bello che uno dica: “Voglio che mi dai il tuo rene”, oppure: “Devi darmi un terzo del tuo tempo” (che poi sono le classiche 8 ore) “e voglio proprio quelle quando sei sveglio” (quelle quando dormi puoi anche tenertele).

No, non è carino...


Il punto, forse, è che capita che uno non le usi tutte le sue belle dotazioni: “Dallo a me il tuo tempo, che tanto tu non sai cosa fartene”.    In tanti casi è difficile dargli torto... anche a me da fastidio vedere uno che sta lì, ad aspettare.


E voi, cosa aspettate a replicare ?

sabato 4 ottobre 2008

Dietro l'etichetta

Un mio amico recentemente ha seguito un progetto, per l'applicazione di un certo tipo di etichette adesive sui prodotti della sua azienda.    Il lavoro si era protratto più di un anno, a causa di una serie di difficoltà.   Quando finalmente arrivò alla conclusione, la sua soddisfazione fu così grande, che volle farne partecipe la moglie: “Sai cara, abbiamo finalmente le etichette”.

Lei ovvimente lo guardò come si guarda un cretino.


Quando questo mio amico mi ha raccontato l'episodio, ha concluso: “Perchè lei non sapeva cosa c'era dietro quelle etichette”.


Ora io me lo chiedo ora, pubblicamente, questa cosa qui: cosa c'è veramente dietro l'etichetta ?


Beh, comiciamo col dire che c'è qualcosa di appiccicoso, che se fosse poco appicicoso, l'etichetta non varrebbe niente. Ecco che una caratteristica negativa (“Che schifo, è tutto appiccicoso”), in questo contesto diventa una caratteristica positiva, anzi indispensabile (salvo quando poi l'etichetta vorremmo rimuoverla).

Che poi però non è l'appiccicoso che è importante, ma quello che c'è scritto sopra l'etichetta;   in altre parole, se potessimo scrivere sopra l'oggetto, senza l'etichetta, sarebbe immensamente meglio.   Quindi l'appiccicoso è solo un artificio per trasferire qualcosa che ho scritto nel posto sbagliato, sul posto dove invece volevo scriverlo veramente.   Difatti, poi, l'appiccicoso si deve nascondere completamente, testimoniando così che conserva la sua caratteristica negativa, sebbene noi lo abbiamo sfruttato, lusingandolo dicedo che “attacca perfettamente”.

Talvolta si fa così -mi sembra- anche con le persone.


Ma torniamo a quello che c'è dietro un'etichetta.   Ricordo un concorso a premi, credo della CocaCola, che prevedeva una scritta dietro l'etichetta: quando la bottiglia è piena, il liquido non consente di leggere il retro dell'etichetta, ma appena l'hai svuotata, puoi leggere se hai vinto, o se devi ritentare scolandoti un'altra bottiglia. 

Era una formulazione diversa del concorso che si basava sulla scritta posta dietro la guarnizione del tappo a corona di certe bibite, fatto tanti anni prima.. qualcuno lo ricorda ?   Se trovavi il jolly avevi vinto, se era un'altra carta da gioco, potevi comunque collezionare il tappo per farti una partitina a poker (mai visto nessuno farla, ma l'idea era interessante).


Bene, ecco sfruttato anche il retro dell'etichetta, ma - e questo è il punto che volevo sottolineare - per qualcosa che deve rimanere nascosto, segreto fino alla fine, e che poi sarà una sorpresa.


Beh, logico:  il retro non sta mica davanti...  mica ti guarda in faccia...   Per me, quello che sta dietro un'etichetta, è come una grotta:   non puoi sapere esattamente cosa c'è dentro, e non è detto che sia piacevole.   Infatti, i più lasciano perdere...

Vi ricordate la storia dei francobolli che nella colla avevano l'LSD ?   Non so se è una leggenda metropolitana, falsa come tante altre, ma questo non è importante.   L'idea che ci fosse qualcosa di diabolico, proprio sul retro, dove si lecca, non è per nulla strana.    E la diabolicità sta nel fatto che il retro ti può corrompere, senza che tu te ne accorga, ma solo se lo affronti aprendoti ad esso, offrendogli in tuo interno, qui rappresentato dagli umori della tua lingua, che subito dopo inghiottirai, incorporandoli:   eri una brava persona, finchè il tuo interiore non ha incontrato il retro del francobollo, che ti ha trasformato in vizioso....

Poi viene in mente l'etichetta intesa come “buone maniere”.   Qualcuno sa mica perchè si chiamano così ?

A parte l'origine del nome, che cosa ci sta dietro quel tipo di etichetta ?    Mi vien da dire soprattutto rispetto: quando qualcuno usa con me le buone maniere, io ne sono lusingato.

Però, il rispetto richiede per forza le buone maniere?    Non si può avere rispetto di una persona, e non seguire le regole dell'etichetta ? Certamente sì, e -anzi- quel tipo di comportamento è particolarmente apprezzato, perchè sembra più "vero". Per cui, se senza l'etichetta è più vero, vuol dire che l'etichetta nasconde qualcosa di un po' "falso"

“Chi legge cartello, non mangia vitello” recitava una delle massime di mio padre. Mio padre aveva spesso delle massime abbastanza oscure per me, e devo dire che molte di queste le ho capite (o almeno credo) solo recentemente. Un'altra volta vi farò degli esempi interessanti.


Ma torniamo al vitello: credo che la massima volesse dire che se ti fidi della scritta, perchè non sai riconoscere la qualità della carne, magari ti vendono come vitello un'altro taglio, certamente meno pregiato (all'epoca le norme sulla tracciabilità non esistevano). 

Così l'etichetta ha lo scopo di rendere più accattivante il prodotto: in altre parole, senza l'etichetta il prodotto si rivelerebbe per quello che è, e questo evidentemente non va bene. Provate ad immaginare al supermercato, tutti i prodotti con un'etichetta standard, con le caratteristiche merceologiche del prodotto, i riferimenti del produttore, ed il codice a barre per la cassa.   Magari tutti in un'unico packaging.

Un'idea che sa da comunismo, vero ?   Peccato,  perchè così viene subito squalificata.   Oggi, un'idea simile non può neppure scendere in campo... Ma siamo veramente convinti che com'è adesso va meglio ?


Vorrei finire con un pensiero a quel capitolo di “Cent'anni di solitudine”,  quando tutte le persone del paese cominciarono a perdere la memoria,  a causa di una pioggia particolarmente insistente,  che sembrava non smettere mai.    E allora cominciarono a mettere dei bigliettini sui vari oggetti, per ricordarsi come si chiamavano.    Così la sedia aveva un bigliettino con su scritto: “sedia”.    Ma presto anche questo risultò insuffiente,  perchè avevano dimenticato cos'era una sedia,  e allora aggiungevano “serve per sedersi”

Dietro l'etichetta stanno le cose vere. L'etichetta serve alla nostra mente, quando le cose vere le abbiamo un po' perse di vista.

Mi viene da dire che sarebbe meglio andarci più spesso, dietro l'etichetta.    Potremmo scoprire cose belle, o forse anhe cose brutte,  ma certamente più cose di ora.


Buona esplorazione a tutti.

mercoledì 17 settembre 2008

Tanto

Io la mattina mi rado con un rasoio elettrico, che poi svuoto di quella polverina che resta dalla tritatura fatta dalle lame.  Sul bianco del lavandino si vede bene, ed io mi affretto a sciaquare, ma ugualmente non posso fare a meno di notare che, anno dopo anno, quella polverina è sempre un po' più chiara.


Sono gli anni che passano.


Che il tempo passi, che non torni indietro, eccetera eccetera, non c'è più niente da dire, ma l'altro giorno mi sono chiesto quanto sia effettivamente, questo benedetto tempo che se ne va. 

Stavo aspettando un taxi, e quando sei in ritardo, un minuto dura moltissimo, ma alla fine, mi chiedevo, il tempo benedetto che abbiamo a disposizione, è tanto o poco ?


Faccio un esempio: quando fumavo, ricordo che impiegavo circa 7 minuti a finire la sigaretta. Quindi in -che so- 80 anni, contando -che so- 1 ora al giorno (8-9 cicche), magari cominciando da 15 anni, viene fuori (80-15)x365x1x60 / 7 = 203.357 sigarette.


Uno dice: “embè ?”


Io dico che è un numero straordinarimente alto.


Da piccolo, dormivo in camera con mio fratello, e capitava che non avessimo sonno (all'epoca si andava a letto all'ora prevista, anche se non c'era sonno), e allora si parlava. Ci inventammo un modo per ingannare il tempo, e cioè contare: uno, due, tre, e così via. Facevamo a turno, perchè è un po' faticoso: dove finiva uno, riprendeva l'altro. Quando poi eravamo stanchi, ci mettevamo a dormire, ma la sera dopo riprendevamo dal punto in cui eravamo arrivati.  Era come fare un nuovo record.  Questo giocò durò alcuni giorni, fino a quando l'incremento che riuscivamo a dare al numeratore, era troppo piccolo, e il conteggio non ci dava più la sensazione di “conquista” che avevamo provato all'inizio.


Direte: “Avevate mica nient'altro da fare ?”. In effetti era proprio così, ma non è questo il punto: la cosa significativa, è che non arrivammo neppure a 2.000.

A no ? Provate voi ! Fino a cento si va che si vola, poi più vai avanti, più ti accorgi che i tuoi passi fanno sempre meno strada. Ve lo dico io, neanche voi ci arrivereste a 2.000: è tanto, tanto, troppo !


Ora, se 2.000 è un bel numero, 203.357 è un numero straenormicissimo.


Questo per dire, che se fossimo venuti al mondo per fumare le sigarette, il tempo che abbiamo a disposizione è veramente tantissimo, ne basterebbe enormemente meno !

Ma ovviamente (mi spiace per Malboro), non siamo a questo mondo solo per fumare (ammesso che qualcuno di voi sappia perchè siamo a questo mondo), però il discorso non cambia molto.

Qualsiasi cosa ci mettiate nella vostra vita (scivere un libro, diventare ricco, colivare patate), il tempo a disposizione è molto molto molto di più di quello che sarebbe strettamente necessario. E' che non ci organizziamo, non abbiamo le idee chiare, cincischiamo, brancoliamo, andiamo per tentativi.

La Natura d'altronde esagera sempre un po'.  Quando fa le cose, non va al risparmio. Ci bastava un ruscello in ogni paese, ed ecco gli oceani d'acqua... Avete mai notato un albero fiorito ? Sembra che da solo debba popolare una foresta !   A che servono tutti quei semi che produce ?  


Si vede che sa che il resto del processo ha una efficienza bassetta. Dice: "gli do tanto tanto tempo, chissà che qualcosina di buono ne venga fuori..."

E difatti finisce che occupiamo questo tempo con un sacco di attività, che certamente non rientrano nell'elenco delle cose che potrebbero essere una motivazione ragionevole per stare al mondo, e di cose buone... pochette.


Ma allora perchè la vita sembra così breve ?


Non ho una risposta, ma è come se fosse un effetto di prospettiva, come la luna che sembra più grande quando è vicina all'orizzonte, il tempo sembra più breve quando è passato. Ma la misura del tempo, direi, è quello che puoi farci dentro, ed è una misura esageratamente grande.


Adesso però smetto, perchè ho un sacco di robe da fare, ed ho poco tempo.

Ciao, a presto (presto ? presto=poco tempo... se non è subito, non è POCO tempo... è un SACCO di tempo... accidenti, ci sono cascato !)

venerdì 5 settembre 2008

Normale

L'altro giorno ho pranzato con un tale che mi ha raccontato del suo colesterolo, per nulla nella norma, ed era preoccupato.
Ricordo che a scuola, nell'ora di statistica, ci parlarono della distribuzione "Normale", che ha la forma come il cappello del Piccolo Principe: quasi tutti i valori sono vicini alla media, ma ce ne sono -pochi- che se ne allontanano.

Frange estreme

C'era anche una misura (si chiamava sigma), per cui dentro c'erano quasi tutti (che so, il 99,9%), e fuori pochissimi.

Domanda: quelli che stanno fuori, non sono "normali" ?

Certo, perdinci ! Se li togliessimo, la "normale" si restringerebbe, ma ci sarebbero ancora quelli che stanno più fuori degli altri 99,9% !
Anche le frange fanno parte della normalità, guai a toglierle !

Rivendico il diritto ad avere il colesterolo al di fuori del 99,9 % degli altri, ed essere considerato anch'io normale !

Mi direte, attento che per te la probabilità di patologie è maggiore che negli altri

vero

E' vero anche che la probabilità di contrarre la varicella è maggiore nell'età tra i 6 e 12 anni. Dovremmo per questo evitare di avere tra i 6 ed i 12 anni ?
Credo che sia normale correre questo rischio. I rischi si affrontano, non possiamo passare la vita ad evitare i rischi...

Parlo del colesterolo, ma potrei parlare di tanti altri indicatori. Chi fa fatica a portarli nella norma, dice: "Lo so, dovrei cambiare stile di vita, fare più attività fisica, vivere più sereno"

vero

Ma allora qual'è la causa della patologia: il colesterolo, o lo stile di vita ?
Perchè accanirci col clesterolo, se è lo stile di vita il problema ? Che senso ha -poi- usare farmaci contro il colesterolo, e mantenere lo stile di vita ?

Poi mi è venuto in mente, che in geometria, normale vuol dire perpendicolare.
Allora: tutti i punti sono ben allineati in una linea, bella, perfetta, che va all'infinito, ed ecco che arriva un punto che "incide normalmente"

Ma vi sembra normale ? Prorio non ha nulla di simile a tutti gli altri, tanto che li incontra in un solo punto: come dire "meno non si può".
Allora perchè la chiamano "normale" ?

Devo dire che non lo so (e se qualcuno mi togliesse questa curiosità, mi farebbe un piacere), però poi ho pensato ancora al cappello della distribuzione di Gauss, ed ho provato a stringerlo.
Prima diventa come il cappello delle streghe, alto e stretto, ma poi... poi... accidenti, guarda un po' cosa diventa: una normale incidente ...

Un pilastro piantato su uno spazio piatto, bello perpendicolare.

Beh, si sa che in geometria piace andare "al limite": che sia proprio una estremizzazione del concetto di distribuzione normale ?
Cioè, quando "tutti - tutti - tutti" sono omologati allo stesso modo.
Quello che piacerebbe a certa destra e certa sinistra

Comunque è chiaro che la geometria piace al pensiero razionale, e la nostra cività è figlia del pensiero razionale, così nulla di strano che alla nostra cività dispiaccia quello che esce dalla normalità.
Un pensiero forte (quello che ha ragione) e tutti gli altri sono pensieri sbagliati,
frange estreme da tagliare, fino ad arrivare alla normalità perfetta, non più individui ma cloni,
disadattati, da curare farmacologicamente.

Esagero, per il gusto del paradosso, ma qualcosa di vero mi pare che ci sia.
Daltronde, sul concetto di normalità credo cia sia molto da dire, ed in particolare sul concetto di normalità nella nostra civiltà.

Ma vi sembra normale quello che facciamo ?
Rischiare la vita tutti i giorni, in scatolette di latta sparate a gran velocità, in direzione opposta ad altre, ancora più massicce della nostra, che se per caso sbagliano un attimo direzione è un macello, come è successo pochi giorni fa sull'A4 ?
E' normale che il nostro sguardo focalizzi costantemente a 40 centimentri (testo scritto), quanche oretta a qualche metro (TV, auto), quasi mai all'infinito ?
E' normale che il nostro pensiero debba rincorrere le cose, che qualcun'altro ha deciso che bisogna fare, anche quando sono del tutto inutili ?
E' normale che ci facciamo sommergere dai nostri rifiuti ?
E' normale che ci governi un uomo ricchissimo ?

Beh, questo però, in effetti, è sempre successo. Un re lo immaginiamo pieno d'oro e pietre preziose, spesso di bassa statura, e neanche tanto bello: un re povero non lo ricordo proprio. Non sarebbe neanche dignitoso

Ed uno negro in america ?
Chissà... stiamo a vedere

sabato 2 agosto 2008

Piccolo

Vi è mai capitato di raccogliere uno stelo, e notare in cima un fiorellino minuscolo ? Piccolo ma bello come uno di grandezza normale. Osservandolo bene, si riconoscono tutti gli organelli dei fiori ordinari, solo è “mignon”.
Quale sarà l'ape che ne succhia il nettare ?
Così vi sarà capitato di vedere sia formiche molto grosse, sia nidi di formichine minuscole, come fossero state ridotte 100 o più volte. Si muovono piano, ma questa è solo la nostra impressione, perché, considerate le gambe che hanno, il loro movimento è del tutto normale. Cosa mangerà una formica così piccola ? La briciola che si sta portando via quella grande potrebbe bastare per tutto il formicaio di quelle piccoline...

Mi viene da pensare alla miniaturizzazione, a come è stata perfezionata nelle tecniche di fabbricazione: dagli orologi, ai circuiti integrati, sembra non esserci un problema di “funzionamento” nella riduzione di scala, o -per lo meno- i problemi sorgono più rapidamente se la scala, invece di ridurla, la facessimo crescere: problemi di tenuta dei materiali, inerzie, forze da controllare... insomma, “piccolo è bello”.

Se le nostre auto fossero 100 volte più piccole ? Credo che non ci abbiano provato solo perché non ci sarebbe un gran guadagno, ma suppongo che consumerebbero molto meno carburante. Diciamo che se le scorte di petrolio sono sufficienti -che so- per 50 anni, riducendo tutto di 100 volte, durerebbero -che so- 50x100=5.000 anni
E scusatemi se è poco...

Ovviamente dovremmo essere più piccoli anche noi, ma se lo fanno le formiche, volete che noi siamo da meno ?

Bene, su questo siamo tutti d'accordo, il problema adesso diventa come fare a diventare più piccoli. La prima soluzione che mi viene in mente, è che bisognerebbe mangiare di meno. E' pensiero comune che oggi i ragazzi sono più grandi perché si alimentano meglio di una volta... beh, cominciamo ad alimentarci un po' peggio, no ?

Cresciamo un po' troppo... Siamo passati dalla Fiat 500 degli anni 60, alle berline, ai SUV... e poi ? Tra vent'anni viaggeremo in TIR ? Quanto dobbiamo crescere ancora ? Non sono tanti i ragazzotti di oggi che riuscirebbero ad entrare in una Fiat 500, ma noi, da giovani, ci abbiamo fatto un sacco di scorribande lì dentro...ed anche di più. Quando la vediamo in una esposizione, restiamo stupiti di quanto fosse piccola... ma non parliamo di un secolo fa, solo una quarantina d'anni !

Si direbbe che l'aumento dimensionale caratterizzi la società “dello sviluppo”, ma contraddica la sostenibilità dello sviluppo. Ok, non è una gran notizia: ormai lo spiegano anche alle elementari.

Ma ci sarebbe spazio per uno sviluppo piccolo ? Ad esempio, cosa succederebbe, per assurdo, se qualcuno di noi si “adattasse” ad una dimensione ridotta, con il resto mondo che invece continua a crescere a dismisura ?

Devo dire che non ricordo di aver mai visto formiche grosse combattere contro quelle piccole. Forse lo considerano sleale. O forse perché non sono in competizione, cioè non si minacciano (hanno esigenze molto diverse). O forse perché sarebbe ben difficile gestire uno “sfruttamento”: che lavoro può fare uno così piccolo ad uno così grande ? E viceversa ? Che pasticcio chiedere qualcosa ad un gigante: romperebbe tutto.
Non conosco bene la storia del gigante con i lillipuziani: credo che all'inizio lo legarono, ma solo per uno stupido errore... di sicuro la convivenza era impossibile... due spazi esistenziali che interagiscono raramente.

Mi vien da dire che, al crescere della differenza dimensionale, i piccoli conquisterebbero uno spazio interstiziale, completamente inaccessibile ai soggetti di scala maggiore, e quindi uno spazio apparentemente vuoto.
Le due popolazioni si intersecherebbero senza venire “a contatto”, almeno secondo il concetto di “contatto” legato all'esperienza dell'interazione.
Sarebbe il raddoppio dello spazio disponibile, e scusatemi se è poco....

Con la diminuzione di scala, abbiamo molte evidenze che non diminuiscono le capacità intellettive: i grandi dinosauri sembra non fossero particolarmente scaltri (prova ne sia l'estinzione totale), ed abbiamo una serie di esempi di statisti, condottieri e attaccabrighe accanitissimi, tutti di dimensioni ben sotto la media. Un bel prototipo di questa categoria di statisti, ce l'abbiamo a capo del governo. Peccato che della sua statura se ne faccia un cruccio... qualcuno dovrebbe dirgli che è all'avanguardia di un cambiamento che presto sarà necessario, o -per lo meno- opportuno.

La fantasia di rimpicciolirsi, non ci è insolita. Di fronte ad una situazione imbarazzante vorremmo rimpicciolire, in una riunione noiosa, per uscire da quel contesto, ed entrare in uno spazio nuovo. Anche di fronte ad una carta geografica, per camminare come formiche in quei paesi, solo disegnati. Che poi sarebbe la stessa cosa se fosse tutto il resto a diventare molto più grande, e noi fermi sulle nostre misure. Gli altri invecchiano, e noi bambini.

Le riflessioni sulla relatività, sono state uno spunto eccezionale per Einstein, e -sulla sua scia- per tanti altri. Mi vien da dire che questo tema non abbia ancora esaurito le possibilità di aprire spazi di comprensione inesplorati; oltre alla relatività del moto c'è molto da indagare sulla relatività dell'esistere.

“Lasciate che i piccoli vengano a me”... che avesse qualcosa a che fare ?

giovedì 24 luglio 2008

Memoria

“Rivedendolo ho ricordato tutto”

L'ha detto poco fa una signora, scendendo dall'auto, parcheggiata casualmente in parte alla mia.. Sorrideva: il ricordo doveva essere piacevole, oppure era solo contenta di averlo ricordato.
Chissà a cosa si riferiva.
Non lo so, ma non è importante... è che mi viene da dire...

... Che la memoria è preziosa, tanto per cominciare. Uno può andare fiero dei suoi bicipiti, un'altro può aver ragione di vantarsi delle sue capacità di memoria.

Quelle patologie che riducono, o alterano la normale capacità di ricordare, conducono la persona affetta ad uno stato che ci induce alla compassione, perché la menomazione comporta uno svantaggio evidente, rispetto a noi che “ci ricordiamo le cose”...

“Ricordare” però non è una condizione “on-off”: c'è tutta una gradazione. Si passa dalle facoltà da record, da animale adatto al circo della ricreazione televisiva, alla smemoratezza dei distratti (dove ho messo gli occhiali ?), ai lapsus (cosa stavo dicendo ?), alle rimozioni (per chi ho votato ?), fino ai deficit gravi (chi sono io ? ... beh, di questo deficit parleremo un'altra volta).

E' su questa gradualità che mi vien da dire qualcosa

Intanto domandiamoci, ma quanto è giusto quello che ci ricordiamo ?

La precisione, ad esempio, dipende dalla completezza della percezione, che -oltre ai dettagli oggettivi- include anche la dimensione temporale, che sembra per nulla collegata con le sensazioni memorizzate, e deve essere ricostruita sulla base di minuscoli indizi.
Avevate già notato ? E' molto frequente trovarsi in disaccordo, nella ricostruzione di un fatto, non tanto sui dettagli, quanto sulla collocazione nel tempo.
La scarsa integrazione della dimensione tempo, con il resto delle percezioni esistenziali, è un mio cruccio. So che fate fatica a stupirvi di questa evidenza, che a me invece crea disagio: è come se la dimensione principe del ricordare (ricordare è una traslazione nel tempo di una percezione) si ostinasse a sfuggire all'osservazione...

Come mai al tempo è così facile fuggire ?

Poi, la precisione dipende dal meccanismo con cui torniamo a rendere attuale il ricordo. In effetti si ricorda “adesso” una cosa accaduta nel passato.
Io penso che quell' “adesso” sia una chiave per svelare l'imbroglio... ascoltate un po'....

Uno degli episodi della mia infanzia (mi ero perso in una spiaggia affollata) contiene un errore di memoria che mi ha sempre incuriosito.

Mi ricordavo che ero con i miei fratelli a guardare una barca sulla spiaggia; quando mi sono ripreso dall'incanto di quell'immagine, i miei fratelli non c'erano più. Mi sono messo a piangere, e qualche vicino di ombrellone è riuscito a farsi spiegare da me (avevo 3 anni) dov'era il mio ombrellone, e mi ha riportato alla mamma.
L'episodio è stato evocato molte volte, per cui non posso essere certo che il ricordo sia originale, o piuttosto sia stato modificato dai racconti successivi, degli altri partecipanti.
L'errore del ricordo però riguarda un dettaglio che è emerso solo di recente: la barca era un motoscafo, mentre io ricordo distintamente un galeone.
Si possono fare molte ipotesi, e la più suggestiva è quella che in una vita precedente potrei aver avuto a che fare con i galeoni. Non vi nascondo che ne sono suggestionato, ma se imbocco questo percorso, so che perderei in credibilità, allora lo evito.
La cosa interessante è invece il fatto che probabilmente quel motoscafo era il primo che vedevo (da cui il rapimento, che mi fece perdere il contatto coi fratelli), e l'associazione al galeone non coincide con l'osservazione.
Che si tratti di un'immagine precedente o successiva, poco importa, conta il fatto che non era l'immagine originale. Come dire, non avevo memorizzato i pixel, come una fotografia, ma il loro significato, limitato dalle conoscenze che avevo all'epoca.

Mi vien da dire, che la correttezza della ricostruzione del ricordo, dipende dall'adeguatezza del nostro attuale sistema di interpretazione dei significati.

Ma allora, se è così facile dimostrare che il ricordo può risultare poco veritiero, in che misura possiamo sostenere che le percezioni attuali sono più precise ?

Qual'è la vera differenza tra una percezione ricordata, ed una attuale ? Lo scorrere del tempo ce la sposta istantaneamente nella categoria dei ricordi: impossibile acchiappare l'adesso.
Al massimo te lo senti scorrere addosso.

Se poi il ricordare “fine a sé stesso” viene anche comunicato ad altri, allora entra in campo tutta la complessità della comunicazione, e le trasformazioni di significati, più o meno volontari, più o meno consapevoli.

Io ascolto molto la radio, perché passo molte ore in automobile. Così ho notato che sempre più spesso vanno in onda servizi che ricostruiscono la storia recente, e lo fanno con molta meno riverenza verso il movimento partigiano, di quanto non avvenisse tempo fa, o addirittura evocano dei meriti del regime imposto da Mussolini.
Voi direte: “si sa, è cambiato il governo...”, e questo lo capisco. Direte che qui ci sono da un lato dei dati storici, oggettivi, e dall'altra l'effetto che un certo giornalismo vuole ottenere, pro o contro un certo schieramento politico.
Si potrebbe chiudere il discorso, sostenendo che non è un problema di memoria, ma di conquista del potere.

Però, secondo me, la memoria c'entra, e parecchio, perché solo una minima parte di noi si va a leggere le fonti storiche: di solito la nostra memoria costruisce il passato sulla base di quello che ci viene raccontato. E siccome non siamo tanto bravi ad imparare, le cose ce le ripetono molte volte.
Alla fine il risultato è il convincimento.

La falsificazione della memoria dovrebbe essere un reato. Non so se è un reato mettere un cartello stradale falso, o solo uno scherzo idiota, ma per me sono due cose simili.

Ditemi cosa ne pensate

domenica 13 luglio 2008

Convivenza

In questi tempi di olimpiadi, l'argomento dovrebbe essere di attualità, invece nessuno che ce lo ricorda:

"Gli utimi saranno i primi"

Potrebbe sembrare una eccezionale occasione per gli ultimi... con poco sforzo salgono sul podio.
E invece no, perchè appena sono saliti -colpo di scena- non sono più gli ultimi, e riprecipitano in coda.
Una specie di gioco dell'oca.

Così nessuno vorrà essere proprio l'ultimo, ma neppure il primo.

Penso che molti filosofi si siano cimentati con questo paradosso, prima di arrivare al famoso "in media stat virtus". Motto ben recepito da Berlusconi, che in effetti con i media s'è dato da fare, e mi pare siano tutt'ora la sua fortuna.

Come si può vedere, la regoletta dell'inversione delle graduatorie è ricca di retroscena... Sovversione totale dei principi dell'agonismo (qualcuno mi può spiegare, per favore, come mai quella parola è così simile ad "agonia" ?).

A questo punto, uno si potrebbe chiedere "Perchè correre ?".
Sotto sotto, c'è un grande senso di vacuità, che sa da paesi caldi, o di deserto del Qoelet. Ma non c'è fatalismo, piuttosto una sorprendente, cristallina razionalità... riflettiamo un'attimo: perché fare ?

Il fare è una delle malattie della nostra civiltà. Il fare inutile potrebbe rivelarsi la nostra condanna. Vi faccio un solo esempio:

L'altro giorno mia figlia mi ha mostrato dei pupazzetti con cui giocava. Piccole sagome di plastica colorata. Guardanoli bene, si vedeva che erano colorati a mano. Ne aveva 4 di uguali, ed ovviamente, guardati da vicino erano ben diversi, proprio perchè fatti a mano. Credo fossero un omaggio di qualche prodotto da supermercato.
Immagino che oggetti così piccoli siano stati dipinti da bambini, in qualche laboratorio all'estero.
Pensandoci bene, io ho pagato quei bambini
Ma non era quella la mia volontà
Io non volevo che quei bambini perdessero la giornata per dipingere quei pupazzetti, avrei sicuramente preferito che giocassero...
Quella piccolissima frazione di euro che io ho pagato, e che è andata a finire per pagare il loro lavoro, gliel'vrei data volentieri lo stesso...
A me non servono 4 esemplari unici di pupazzetti colorati. Anche mia figlia poteva farne tranquillamente a meno.
Finiranno nell'immondizia tra poco tempo. Neppure riciclabili.

Questo è un esempio della stupidità del fare, ma ne potremmo trovare tantissimi.

Un mio ex capo, che stimo molto, una volta mi sorprese dicendomi: "Guardi Montanari, che qui da noi la bravura è non fare ...". Era da poco il mio capo. Devo precisare che la mia professione è l'informatica, e che se noi facessimo tutto quello che i nostri utenti ci chiedono, dilapideremmo rapidamente l'azienda per cui lavoriamo. Io invece ero ancora sul modello "primo della classe", è quell'indicazione all'inizio mi suonò da sabotaggio industriale, ma dopo mi aprì un po' gli occhi.

Come coi bambini, bisogna saper dire di no. Per il loro bene.

Alla fine, "i primi saranno gli ultimi" mi ha portato al concetto di rinuncia: ad essere il primo, ad avere più degli altri, per un principio di "buona educazione", cioè una regola di base della convivenza.

Potenza delle parole...

mercoledì 11 giugno 2008

Degrado

Le ortiche che crescono nel giardino, il muro che si scrosta, le piastrelle del pavimento sconnesse...
Segni di degrado.

La prima impressione è negativa, un segno di trasandatezza, di povertà.
Ma se ci penso, trovo che non c'è niente di più naturale.
Ci sarebbe da preoccuparsi se le ortiche non crescessero più... provate immaginare il muro, che resta intatto. Passano gli anni, ed è sempre uguale. Avreste l'impressione che il tempo si è fermato. La sospensione del tempo blocca il degrado, ma è questo che vogliamo ?

Provate a immaginarvi incorruttibili... a vivere con tutti i nostri avi davanti, in eterno. Lo troverei terrificante. Penso che sia meglio degradare, trapassare e poi dissolversi, com'è adesso.

Ma torniamo alle ortiche... Certo, ripristinare le condizioni d'ordine, ci tranquillizza; un po' di ordine e di pulizia ci fa piacere.

Ma perchè ?

Ci possono essere dei casi in cui ha senso parlare di igiene, cioè di protezione della salute, ma io credo che si tratti di casi rari. Francamente, in molti più casi, noi dimostriamo un grande sprezzo della nostra integrità fisica: basta guardarci, ad esempio, quando sfrecciamo a velocità pazza, racchiusi in una scatola di metallo, uno a fianco all'altro, anche in mezzo alla nebbia. Secondo voi, è' un comportamento “igienico” andare in automobile ?
Allora c'è qualcos'altro che ci fa essere ostili al degrado naturale delle cose.

Ricordo un amico australiano, che quando vide l'Arena (a quel tempo abitavo a Verona) disse: “Bella, ma perché non la ricostruite ?”

Annullare il tempo trascorso.

Mi son fatto l'idea che è questa dimensione, il tempo, che implica il degrado, e che noi col tempo non siamo ancora andati a patti.

venerdì 23 maggio 2008

Adesso basta

Diceva così quella mamma al figlio capriccioso
Era la demarcazione tra la pazienza, ed il ripristino dell'autorità
La sopportazione si era esaurita.
Il ruolo di vittima viene passato, come il testimone nella staffetta: adesso tocca a te, è meglio che corri.

"Adesso basta": comincia con Adesso... ti riporto a qui ed ora, cioè alla realtà istantanea, all'esistere di me che te lo dico, e di te che mi ascolti. E finisce con Basta, imperativo di cambiamento, anzi, di capovolgimento, on-off.

"Adesso basta" diceva anche -così dicono- quel ragazzo su YouTube, ai compagni che lo torturavano, quando le bruciature non erano più solo un gioco crudele, ma una vera minaccia, non più accettabile.
Lo chiedeva supplichevole, con un filo di voce.

Sopportazione ed Adattamento sono, secondo me, due sorelle che si assomigliano moltissimo.
Le frequentiamo tutti, anche troppo. Ma attenti, perchè sono due troie. Ho letto che anche nelle peggiori persecuzioni, nei lager, c'era spazio per ridere e scherzare, perchè al contesto, un po', si erano adattati.

L'adattamento di Darvin, non è mica la giraffa che piano piano allunga il collo, no, no... è lo sterminio di milioni di animali con il collo corto, che non trovano più cibo, perchè è già stato mangiato da quelli con il collo più lungo del loro.

Sopportazione ed Adattamento sono la legge del più forte.

Adesso basta.

domenica 18 maggio 2008

Straordinari

Forse ricordo male io, ma ... non eravamo tantissimi, negli anni 70 a gridare:
"Lavorare meno, lavorare tutti" ?

Era un teorema semplicissimo, alle medie la chiamavano proporzionalità inversa: impossibile non essere d'accordo. Uno resta senza niente da fare ? Io che ho un sacco di robe da fare, ne faccio fare un po' a lui.
Mi pare si dica "win to win", cioè un gioco in cui vincono tutti i giocatori: sono contento io, che lavoro un po' meno, e sei contento tu, che ti guadagni la pagnotta.

Io quella volta non gridavo tanto forte, ma mi ricordo che c'erano persone ben più convinte di me, che adesso sono sindaci, o sono stati al parlamento, o scrivono sui giornali ... gente mica stupida. Come mai sentono "Detassare gli straordinari", e non hanno niente da dire ?

Cioè, se ho capito bene, chi lavora dovrebbe lavorare di più, e chi non lavora ... boh, non capisco

Ah, aspetta aspetta, adesso ho capito. E' per via di Visco,
ma sì, quando ha detto che "Pagare le tasse è bellissimo".
Eccola la spigazione: se fai gli straordinari, ti punisco, e ti impedisco di pagare le tasse, così finalmente la smetterai di lavorare come un fesso. Ti tolgo il piacere più bello che ci sia: pagare le tasse !
Certo, è come quella maestra di mia figlia, che aveva inventato di abolire i brutti voti: "Maestra, non me lo da il voto ?" "No tesoro, purtroppo hai scritto scuola con la q, e non te lo posso proprio dare; la prossima volta stai più attento", e il piccolino a frignare in un angolo.

Adesso, tutti stanno zitti, per non fare dispiacere a Visco. Che non sembri che anche a noi piace evadere le tasse.
Tutto chiaro.

O, per lo meno, era tutto chiaro finchè non ho letto che, dalla detassazione, saranno esclusi gli statali "per comprensibili motivi".

Mah, si vede proprio che sono tonto, perchè io questi motivi non li comprendo. Purtroppo però non me li spiegano bene, e allora devo provare di mio.
Ora mi sforzo.

Ecco, ho capito: ci sono due razze, gli impiegati statali, e gli impiegati non statali.
Beh, ok, ci sarebbero anche quelli che non hanno impiego, ma è come se non ci fossero, d'accordo ?
Certo, poi ci sarebbero anche gli imprenditori, i professionisti, ma quella non è una razza, nel senso animale della faccenda, sono un livello più su, hanno studiato... mica si conta lo straordinario di quelli lì.

Ma torniamo alle razze, l'impressione è che quella degli statali sia un po' particolare, nel senso che con le tasse si pagano lo stipendio, visto che è lo Stato che paga... cioè, è una partita di giro, e allora come si fa a detassare lo straordinaro ? bisognerebbe contemporaneamente togliere anche lo stipendio.

Adesso però basta, sennò lo fanno sul serio. E poi, lo ammetto, in questo post ho scritto proprio molte stupidaggini, però dovete ammettere che -su questo argomento- sono in buona compagnia.