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martedì 21 ottobre 2008

Confusione

Credo che capiti a chi non è più giovane, come me.   Di avere presente il passato come fosse ora.

Così capita di parlare, con il pensiero, a chi non c'è più, e da un pezzo.

Ieri per radio rievocavano Rinbaud, quando diceva: “io è un'altro”.   Non so bene cosa intendesse, ma mi sento assolutamente d'accordo con lui.    Quando parlo con chi non c'è più,  non sono quello che disbriga le cose quotidiane,  che si afferma (o almeno ci prova),  che prende le decisoni (o almeno crede).

Lui, quello lì, sono io, Roberto (mi conoscete con quel nome).

Ma c'è una grossa differenza con quello che -per un attimo- è fuori del tempo, e si emoziona guardando una vecchia foto, e parla alle persone fissate sulla carta dal nitrato d'argento.

Quale differenza ? (...ora sono obbligato a rispondere ...)  direi la posizione rispetto al mio solito  amico,  il tempo...

Il primo, io, il Roberto piantato sull'adesso, quando parla con i suoi avi, se non pazzo, è almeno un romantico stravagante.   Perchè ?    Beh,  perchè quelli non esistono...   La sua è una perdita di tempo.   Un trastullarsi da perdigiorno.   Pregar Dio che non ci mettiamo tutti a seguire il suo esempio.

Ma se il tempo lo sposti, da unico luogo dell'essere, ad una dimensione, e neppure la più importante, allora spuntano i significati che resistono al tempo (incorrutibili?).

Che poi sono gli stessi che spuntano quando sognamo (incomprensibili?).

Intendo dire, che quello che si dice in un sogno, o ad una foto, non è dettato dall'urgenza, o dalla necessità,  o dalla convenienza.   In quelle situazioni non si mente.

Mi sembra di essere arrivato a dire una cosa ovvia:  sappiamo bene che i valori attuali (successo, benessere, evasione) sono ben diversi da quelli tradizionali (rispetto, solidarietà, accoglienza), e che oggi i valori tradizionali risultano spesso incomprensibili.    E che i valori tradizionali mantengono la loro validità, non perchè trovano delle giustificazioni,  ma perchè inataccabili essendo fuori del tempo.

A me sembra che non abbiamo vocaboli adatti a distinguere bene le cose, e da qui credo derivi buona parte della confusione.   Fatto sta, che star piantati sul breve, e dimenticare il passato sembra essere di moda, ed è estremamente difficile convincerci che -viceversa- il passato attiene all'adesso non meno della radice al frutto.

Questa consapevolezza credo rivaluterebbe (nel senso che darebbe maggior valore)  le azioni di oggi, non per l'effetto sull'immediato, ma per la loro azione nei tempi successivi.   Qualcosa di simile alla preoccupazione degli antichi, di costruire monumenti di granito, affinchè resistessero al tempo che passa.

Che sia esaurito il granito ?   Nessuno sembra pensarci molto al futuro...  preferiamo una politica dissipativa:   smantelliamo Chioto, e rifiutiamo di emozionarci per cose che si collocano in tempi diversi dall'attuale.    O almeno così pensa chi ci governa.    Che poi li abbiamo delegati noi, quindi così pensiamo noi.    Quello che penso io, nel gran macinino della democrazia, scompare.

venerdì 17 ottobre 2008

Carità di Stato

La soddisfazione del capo del governo, per la caduta del “tabù” degli aiuti di Stato alle aziende, ci dovrebbe far saltare in piedi dalla sedia.

Non vi siete accorti che ci stanno sfilando di tasca il portafoglio ?
Sorridendo, come i ladri di professione

Nella solidarietà, chi vuole essere generoso, lo fa per sua scelta, ma se i quattrini gli vengono tolti dalla sua tasca a sua insaputa, si chiama furto.
Anche se chi glieli toglie, volesse darli tutti in beneficienza, si chiama ancora furto ...

I soldi che Berlusconi (ed i suoi compari) vogliono dare alle banche, non sono i suoi: non avrei nulla in contrario se fossero i suoi, ma non è questo che intendono fare.

Si confonde la solidarietà con il furto.

Si dice che, con questa operazione, si vogliono difendere i piccoli risparmiatori.
Accidenti che buon cuore, ma perchè i piccoli pensionati no ? I piccoli disoccupati no ? Quelli che sono piccoli, ma non sono risparmiatori, perchè i soldi li hanno già spesi tutti, loro non li aiutiamo ?
Viene il dubbio, piuttosto, che siano interessati a quelli grandi, di risparmiatori ...

Aiutare chi è in difficoltà è un grande segno di civiltà. Pensiamo a tutte le iniziative di previdenza che nei secoli sono state perfezionate, e che sono il vanto degli Stati moderni: la pensione d'anzianità, l'assistenza sanitaria, l'assicurazione infortuni, ma anche le assicurazioni private. Sono tutti istituti che -come principio di base- prevedono una raccolta di danaro, la costituzione di un fondo, che poi viene amministrato, ed infine usato per favorire i più sfortunati.
Funzionano come ammortizzatori: chi versa la quota sa che potrebbe essere lui a beneficiarne. Non dico che lo faccia volentieri, ma se ne da una ragione.

Non avrei nulla in contrario che gli istituti di credito costituiscano un fondo di questo tipo, per aiutare quelli che si sono fatti “fregare”, ma credo che nessun istituto di credito vorrà mai dare dei soldi per favorire un'altro istituto, perchè sa che quello ha tentato di “fare il furbo”.
Sapevano i rischi... sono stati spregiudicati per battere la concorrenza, offrendo ai clienti tassi fuori mercato, e tenersi più margine...non erano mica ignoranti quelli che hanno deciso queste operazioni.

E allora, dovremmo tirarli fuori noi questi quattrini ? Siamo proprio i più stupidi di tutti ?

Potrei anche essere daccordo di considerare questa una situazione di emergenza, per cui bisogna chiudere un occhio. Io li chiudo anche tutti e due, se lo Stato ha liquidità.... ma voglio esagerare, sono disposto anche a fare un versamento straordinario, una una-tantum... però poi quei soldi li voglio restituiti, e con gli interessi. Per caso a voi risulta che gli istituti di credito regaliano i quattrini ? O piuttosto se li fanno restituire, e chiedono anche un tasso di interesse ? Qualcuno ha mai suggerito che, qualche volta, in situazione di emergenza, li dovrebbero regalare?

Allora perchè dovremmo farlo noi ?

Se l'aiuto che chiedono serve per superare una brutta congiuntura, ma poi si impegnano a lavorare come si deve, io i soldi miei glieli do, ma -quanto meno- vorrei vedere qualche loro manager dimettersi, chiedere scusa, mettere sul tavolo tutti i quattrini che si è preso fino ad oggi, ed andare a fare un diverso mestiere. Che so, l'operatore ecologico. Non gli farà mica schifo ? Il saldatore no, perchè non sarebbero capaci.
Ma che nessuno venga fouri decantando meriti che evidentemente non hanno.

Ma un minimo di giustiza, non possiamo proprio permettercela ?
Ma a voi, non viene voglia di ribellarvi ?
Proprio a nessuno ?

No, No e No, a queste condizioni non siamo d'accordo sugli aiuti di Stato !

E poi diciamola anche tutta, gli aiuti di Stato decisi da quei signori lì, ci convincono ancora meno: mi spiace, ma sono troppo ricchi per dire a noi di essere generosi.

domenica 12 ottobre 2008

Alzati e cammina


Metti che bastava solo dirglielo, e nessuno ci pensava. Metti che non aspettava altro, ma tutti invece preferivano piangerlo morto.


Non gli ha detto: “Guardami”, o “Parlami” ... nulla che fosse rivolto a sé stesso.


Perchè ?


Alzarsi è un prerequisito del camminare, quindi l'oggetto vero della richiesta era proprio muoversi.


Il bello è che non gli ha detto per andare dove.


Ma come, uno è praticamente morto, lo rianimi in un modo spettacolare, e non gli dai nessuna indicazione su cosa fare adesso ? Non lo trovate strano ?




Camminare.




Seguire in modo attivo una traiettoria su questa Terra.




Adesso sei qui, tra un po' non sarai più qui, ma sarai ugualmente, in un'altro posto.




Ci sei andato, o ti ci sei ritrovato ? Anche quando vai volontariamente in un posto, poi non sai mai veramete cosa ci troverai. Anche quando vai a caso, poi ti ritrovi in posti che avevi sempre immaginato, che ti accolgono come si accoglie uno che manca da tanto tempo.




Una volta andavo a passeggio con mia figlia, piccina, sulla spiaggia. Lo scopo era la camminata. Dopo un po' mi chiese: “Dove stiamo andando ?” ed io le risposi: “A zonzo”. Lei sembrò soddisfatta, e continuò a trotterellare al mio fianco. Dopo un po' mi chiese ancora: “Ma quando arriviamo ?” “Dove, tesoro ?” “A Zonzo”.




Un figlio si aspetta che il padre sappia dove sta andando. A noi è assegnato di andare, nessuno è tenuto a dirci dove.




Che sia quello che mangiamo ? Non so la causa, però evidentemente la nostra mente è offuscata. Di questo percorso che stiamo facendo, del modo in cui lo stiamo facendo, parlo prima di tutto per me, non abbiamo consapevolezza.




Eppure tutte le mattine, è questo l'inizio: alzati, cammina.

sabato 11 ottobre 2008

Aspettare

Quando si aspetta, c'è qualcosa che si consuma: l'olio della lucerna, la candela, il tempo. Si consuma nel senso che dopo non c'è più.

E dov'è andato ?

L'olio della lucerna e la paraffina della candela sono bruciate, hanno reagito con l'ossigeno dell'aria, ed ora sono molecolarmente disperse, ma sono ancora qui vicine a noi, ne sentiamo ancora l'odore.    Ma il tempo, dove è andato ?

Non essendo minimamente in grado di dire dove possa essere scomparso, comincia a sorgermi il dubbio che ci fosse veramente anche prima....


Cos'è il tempo futuro, prima che accada ?


Ricordo che da piccolo mi chiedevo come sarei stato quando fossi diventato adulto. Cosa mai avrei fatto -diciamo- a cinquant'anni ?    Mi sforzavo di immaginarlo,  perchè mi sarebbe un sacco piaciuto poter fare subito quelle cose,  senza dover aspettare tanti anni.   L'impresa però non era facile... facevo il conto: “se adesso ho 8 anni e siamo nel 1962, quando ne avrò 50 saremo nel ...” e cominciavo a dubitare che in quel tempo così lontano si sarebbero fatte le stesse cose che -ad esempio- stava facendo in quel momento mio padre.


Dubbio fondato solo in minima parte... lo sforzo però era definitivamente inutile, per il fatto che quel tempo futuro -semplicemente- non c'era...  in quel momento non esisteva per nulla.


Ecco perchè quando si consuma, il tempo scompare del tutto: non c'era mai stato neanche prima !

Bene, ma se prima e dopo non esiste, com'è la situazione del tempo di adesso ?


Beh, l'adesso è simpaticamente presente, ci sollazza di sensazioni svariate...   diciamo che si fa sentire, eccome.   Anzi, forse proprio perchè è così concentrato, che sentiamo come il bisogno di diluirlo,  mettendoci ad aspettare cose future,  o trastullandoci nel ricordo di quelle passate.   In altre parole, mescoliamo cose inesistenti, con quelle reali, come per stemperare col latte una cioccolata troppo carica.


Già, perchè se uno non è abituato, può essere in difficoltà ad affrontare il tempo attuale.   Ci vorrebbe del training, un coach.   Noi i nostri figli li mandiamo allo sbaraglio: capiranno da soli come si fa... anche perchè -veramente- non è che abbiamo capito tanto neppure noi...


In questo momento sono in treno, e fuori è calata la nebbia.   Attorno a me innumerevoli esistenze si svolgono, secondo un loro percorso a me (ed agli interessati) sconosciuto.   Vedo persone che si stanno incamminando verso le loro occupazioni. Uno dice “sono occupato”, ma non è mica lui ad essere occupato, è il suo tempo, è il suo tempo che viene occupato, e non è più disponibile per altre cose...


Dice “se fossi disoccupato, non prenderei lo stipendio”

Uno che non è occupato, mi vien da dire, è libero...   Evidentemente la libertà ha un costo, questo è ragionevole.   Ma metti che uno non ha problemi economici, che so, uno a caso, Berlusconi, cosa se ne fa della libertà che si può comperare in grande quantità ? La perde subito, occupando il suo tempo con una serie di attività, anche più fitte delle nostre.


Allora mi viene da dire che il tempo è come un avvallamento: per quanto lo liberi, tende sempre riempirsi di roba.    Bisognerebbe mettere un cartello “Divieto di scarico immondizie”, o qualcosa di simile, che so, recintarlo, sorvegliarlo.   Oppure stiparlo in modo consapevole: “Parcheggio completo, andate da un'altra parte”, che è quello che fanno i benestanti.


Ed ecco quindi una connessione a sorpresa, tra la ricchezza ed il tempo.    Il concetto di classe sociale, trasformato nel concetto di chi presta il proprio tempo, e chi non si accontenta del suo, ed usa anche il tempo degli altri.


Il tempo, però, alla nascita, è stato dato a ciscun individuo, come lo stomaco, il naso, e gli altri accessori.   Uno nasce che ha tutto questo bel corredo, e non è bello che uno dica: “Voglio che mi dai il tuo rene”, oppure: “Devi darmi un terzo del tuo tempo” (che poi sono le classiche 8 ore) “e voglio proprio quelle quando sei sveglio” (quelle quando dormi puoi anche tenertele).

No, non è carino...


Il punto, forse, è che capita che uno non le usi tutte le sue belle dotazioni: “Dallo a me il tuo tempo, che tanto tu non sai cosa fartene”.    In tanti casi è difficile dargli torto... anche a me da fastidio vedere uno che sta lì, ad aspettare.


E voi, cosa aspettate a replicare ?

sabato 4 ottobre 2008

Dietro l'etichetta

Un mio amico recentemente ha seguito un progetto, per l'applicazione di un certo tipo di etichette adesive sui prodotti della sua azienda.    Il lavoro si era protratto più di un anno, a causa di una serie di difficoltà.   Quando finalmente arrivò alla conclusione, la sua soddisfazione fu così grande, che volle farne partecipe la moglie: “Sai cara, abbiamo finalmente le etichette”.

Lei ovvimente lo guardò come si guarda un cretino.


Quando questo mio amico mi ha raccontato l'episodio, ha concluso: “Perchè lei non sapeva cosa c'era dietro quelle etichette”.


Ora io me lo chiedo ora, pubblicamente, questa cosa qui: cosa c'è veramente dietro l'etichetta ?


Beh, comiciamo col dire che c'è qualcosa di appiccicoso, che se fosse poco appicicoso, l'etichetta non varrebbe niente. Ecco che una caratteristica negativa (“Che schifo, è tutto appiccicoso”), in questo contesto diventa una caratteristica positiva, anzi indispensabile (salvo quando poi l'etichetta vorremmo rimuoverla).

Che poi però non è l'appiccicoso che è importante, ma quello che c'è scritto sopra l'etichetta;   in altre parole, se potessimo scrivere sopra l'oggetto, senza l'etichetta, sarebbe immensamente meglio.   Quindi l'appiccicoso è solo un artificio per trasferire qualcosa che ho scritto nel posto sbagliato, sul posto dove invece volevo scriverlo veramente.   Difatti, poi, l'appiccicoso si deve nascondere completamente, testimoniando così che conserva la sua caratteristica negativa, sebbene noi lo abbiamo sfruttato, lusingandolo dicedo che “attacca perfettamente”.

Talvolta si fa così -mi sembra- anche con le persone.


Ma torniamo a quello che c'è dietro un'etichetta.   Ricordo un concorso a premi, credo della CocaCola, che prevedeva una scritta dietro l'etichetta: quando la bottiglia è piena, il liquido non consente di leggere il retro dell'etichetta, ma appena l'hai svuotata, puoi leggere se hai vinto, o se devi ritentare scolandoti un'altra bottiglia. 

Era una formulazione diversa del concorso che si basava sulla scritta posta dietro la guarnizione del tappo a corona di certe bibite, fatto tanti anni prima.. qualcuno lo ricorda ?   Se trovavi il jolly avevi vinto, se era un'altra carta da gioco, potevi comunque collezionare il tappo per farti una partitina a poker (mai visto nessuno farla, ma l'idea era interessante).


Bene, ecco sfruttato anche il retro dell'etichetta, ma - e questo è il punto che volevo sottolineare - per qualcosa che deve rimanere nascosto, segreto fino alla fine, e che poi sarà una sorpresa.


Beh, logico:  il retro non sta mica davanti...  mica ti guarda in faccia...   Per me, quello che sta dietro un'etichetta, è come una grotta:   non puoi sapere esattamente cosa c'è dentro, e non è detto che sia piacevole.   Infatti, i più lasciano perdere...

Vi ricordate la storia dei francobolli che nella colla avevano l'LSD ?   Non so se è una leggenda metropolitana, falsa come tante altre, ma questo non è importante.   L'idea che ci fosse qualcosa di diabolico, proprio sul retro, dove si lecca, non è per nulla strana.    E la diabolicità sta nel fatto che il retro ti può corrompere, senza che tu te ne accorga, ma solo se lo affronti aprendoti ad esso, offrendogli in tuo interno, qui rappresentato dagli umori della tua lingua, che subito dopo inghiottirai, incorporandoli:   eri una brava persona, finchè il tuo interiore non ha incontrato il retro del francobollo, che ti ha trasformato in vizioso....

Poi viene in mente l'etichetta intesa come “buone maniere”.   Qualcuno sa mica perchè si chiamano così ?

A parte l'origine del nome, che cosa ci sta dietro quel tipo di etichetta ?    Mi vien da dire soprattutto rispetto: quando qualcuno usa con me le buone maniere, io ne sono lusingato.

Però, il rispetto richiede per forza le buone maniere?    Non si può avere rispetto di una persona, e non seguire le regole dell'etichetta ? Certamente sì, e -anzi- quel tipo di comportamento è particolarmente apprezzato, perchè sembra più "vero". Per cui, se senza l'etichetta è più vero, vuol dire che l'etichetta nasconde qualcosa di un po' "falso"

“Chi legge cartello, non mangia vitello” recitava una delle massime di mio padre. Mio padre aveva spesso delle massime abbastanza oscure per me, e devo dire che molte di queste le ho capite (o almeno credo) solo recentemente. Un'altra volta vi farò degli esempi interessanti.


Ma torniamo al vitello: credo che la massima volesse dire che se ti fidi della scritta, perchè non sai riconoscere la qualità della carne, magari ti vendono come vitello un'altro taglio, certamente meno pregiato (all'epoca le norme sulla tracciabilità non esistevano). 

Così l'etichetta ha lo scopo di rendere più accattivante il prodotto: in altre parole, senza l'etichetta il prodotto si rivelerebbe per quello che è, e questo evidentemente non va bene. Provate ad immaginare al supermercato, tutti i prodotti con un'etichetta standard, con le caratteristiche merceologiche del prodotto, i riferimenti del produttore, ed il codice a barre per la cassa.   Magari tutti in un'unico packaging.

Un'idea che sa da comunismo, vero ?   Peccato,  perchè così viene subito squalificata.   Oggi, un'idea simile non può neppure scendere in campo... Ma siamo veramente convinti che com'è adesso va meglio ?


Vorrei finire con un pensiero a quel capitolo di “Cent'anni di solitudine”,  quando tutte le persone del paese cominciarono a perdere la memoria,  a causa di una pioggia particolarmente insistente,  che sembrava non smettere mai.    E allora cominciarono a mettere dei bigliettini sui vari oggetti, per ricordarsi come si chiamavano.    Così la sedia aveva un bigliettino con su scritto: “sedia”.    Ma presto anche questo risultò insuffiente,  perchè avevano dimenticato cos'era una sedia,  e allora aggiungevano “serve per sedersi”

Dietro l'etichetta stanno le cose vere. L'etichetta serve alla nostra mente, quando le cose vere le abbiamo un po' perse di vista.

Mi viene da dire che sarebbe meglio andarci più spesso, dietro l'etichetta.    Potremmo scoprire cose belle, o forse anhe cose brutte,  ma certamente più cose di ora.


Buona esplorazione a tutti.