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giovedì 19 marzo 2009

Antenne

Ce n'è dappertutto: quelle della TV, prossime al pensionamento, svettano ancora sui tetti; quelle dei telefonini ormai mimetizzate; quelle nelle automobili, invisibili, in attesa dei telecomandi. Alcune stanno in ascolto di impercettibili segnali, altre li irradiano.  Stanno su grossi tralicci, come le antenne delle radio, o delle telecom,  o in posti impensabili, come nei satelliti artificiali sopra di noi.

Il segnale che loro raccolgono, noi lo percepiamo decodificato, ripulito, amplificato, convertito in funzioni... come dire:  ci interessa l'essenza... della vinaccia e degli alambicchi non ci curiamo.


Quando facciamo una telefonata al cellulare, nessuno pensa a quanto sia complesso distinguere, tra tutti i segnali che circolano, proprio quello che modula esattamente come la voce del nostro interlocutore, e ci permette di comprendere -a distanza- quello che lui sta dicendo.

Ma all'aumentare delle antenne, aumentano i segnali da separare... e mi chiedo se ci potrà essere un momento in cui la babele di segnali sarà tale, che sarà difficile discriminare i segnali tra di loro... come in quelle riunioni in cui tutti parlano, e non riesci più a seguire il discorso di nessuno.


A quel punto sarà inutile trasmettere, perché sarà impossibile distinguere tra le innumerevoli fonti di segnali simili: ...saturazione... Chissà quanto siamo lontani dal punto di saturazione...

...saturazione...

Quando si raggiunge il punto di saturazione (parlo, ad esempio, del sale da cucina sciolto nell'acqua), succede un fenomeno straordinario, perché va contro il principio che vuole che l'entropia aumenti sempre: la formazione del cristallo. Come dire: quando il casino ha raggiunto punti insopportabili, ecco il miracolo: le particelle si mettono in ordine, da sole... in un ordine perfetto e inatteso.  E quest'ordine sembra essere “contagioso”, e si propaga... ed il cristallo cresce, cresce, secondo direzioni predefinite con una forma strabiliante.

Io dico che le particelle avrebbero saputo mettersi in ordine anche prima, ma c'era troppa libertà, troppo spazio da occupare: come resistere alla tentazione di occuparlo tutto ? Mettetevi nei panni della particella di sodio dell'acqua minerale (di cui non ricordo il nome, dimostrando che -.almeno per me- tutta quella pubblicità è stata assolutamente inutile). Dicevo: mettetevi nei panni di una particella, provate ad avere molto spazio, un sacco di spazio tutto attorno: è chiaro che vi mettereste a gironzolare,  per studiarlo un po'... ma quando la situazione diventasse un po' troppo caotica... la tentazione di fermarsi a guardare cosa succede, verrebbe anche a voi... e di sicuro, qualcun altro seguirebbe il vostro esempio, e vi si siederebbe in parte.

Insomma, la cristallizzazione è assolutamente normale, e questo non era necessario che lo dicessi.

Direi che è anche improvvisa, almeno nel suo esordio, con una crescita successiva molto tranquilla.


Ma, tornando alle nostre antenne, cosa succederà quando avremo saturato lo spazio circostante, con tutte le possibili radiazioni elettromagnetiche ? In cosa consiste la saturazione, e la cristallizzazione che improvvisamente -io suppongo- si svilupperà subito dopo ?


Una cosa che si nota subito, è che nel cristallo non c'è movimento (salvo qualche vibrazione)

Ora, se non c'è movimento, non c'è neanche il tempo, nel senso che non c'è modo di misurarlo.


Il diamante è per sempre”: l'idea di immutabilità è proprio connaturata al cristallo.


La fine del tempo ?


Che sia questa la cristallizzazione cui andiamo incontro ?

Ecco l'ennesima ipotesi apocalittica” direte voi, ma prima di rigettarla d'istinto, provate a seguirmi, ed a studiarla più da vicino.


Questo è lo scenario: i produttori di dispositivi muniti di antenna sfornano i loro prodotti, ma capiterà che sempre più spesso si troveranno ad operare in zone sature e non funzioneranno. I produttori allora miglioreranno le tecnologie usate, ma il beneficio sarà di breve durata, e riguarderà solo quelli che si possono permettere il costo delle tecnologie più moderne. Per la maggior parte delle persone, tante attività normali, si potranno fare con difficoltà, solo in certe ore, o in certi posti. La loro capacità di produrre calerà, e verranno emarginati. Una crisi, non legata a titoli tossici, ma ad una indigestione di radiazioni... costipazione elettromagnetica.

Chiamiamola come vogliamo, comunque una crisi.  Siccome non sarà la prima, molte persone cercheranno una soluzione alla loro esistenza in stato di ristrettezza economica.  Potrebbero esserci ribellione, oppure adattamento.  Forse i primi che individuano una condizione di adattamento ragionevole, potrebbero essere il germe perché altri seguano l'esempio, e ne imitino lo stile di vita.  Essendo sviluppato in condizioni di povertà, dovrebbe essere uno stile poco dissipativo... insomma, ordinato ed efficiente... come dire, cristallino...

Forse disobbedirà alle leggi dell'economia

Il tempo “occidentale”, segnato dalla fretta del fare, lascerebbe il posto a vibrazioni diverse, più lente e interne: non ci sarebbe posto alla frenesia; impensabile spostarsi come oggi....

Fosse vero...ci abitueremmo ? Vivremo come in un secondo paradiso terrestre, o sarà piuttosto il riscaldamento globale a riportarci tutti “in soluzione” (o, meglio, in “dissoluzione” ) ?

domenica 15 marzo 2009

Sottomissione

Ecce ancilla domini. Un atto di sottomissione ? ...Sottomettersi … è come dire: mettersi sotto.. chi guarda non vede te, ma quello che ti sta sopra... è lui che comanda.  Domina, o, più semplicemente, guida ?

Nell'atto di “mettersi sotto”, l'attore è chi sceglie di farsi sottomesso. Perché dovrebbe farlo ?


Capita, in certe gite in montagna, con comitive numerose, che si faccia un po' fatica a prendere le decisioni: “andiamo sul ghiacciaio, o ci fermiamo al rifugio” ?

Se c'è un leader, decide lui. Se è bravo, lascia che sembri che siate voi a decidere.

Se è bravo, ti sta bene che sia lui a decidere.

Se non è bravo, la comitiva si disfa, e la gita non si ripete, finché non si trova un altro più bravo.


Ciao, sembra voglia dire “sciavo vostro”: semrava un saluto, invece è ancora un atto di sottomissione...


Chi si mette al servizio di qualcun altro, in genere si aspetta qualcosa in cambio. Mangiare, essere protetto, nei tempi antichi. Oggi si monetizza tutto, ma in fondo è la la stessa cosa: il denaro, di per sé, non è particolarmente utile, ma viene scambiato facilmente con altre cose.


Essere sottomessi -credo- vada riscoperto, come vada approfondita la dialettica tra chi guida e chi è guidato, e vadano anche ridefinite le regole di avvicendamento di chi sta alla guida, ed i diritti di chi è guidato, ed i doveri di chi guida.


Con una serie di regole ragionevoli, la sottomissione non pesa. A voi pesa essere sottomessi alle leggi della fisica ? Me ne faccio una ragione, e smetto di fare i 150 sul bagnato...


Ma lasciatemi sconfinare su un'altra categoria di leggi naturali, legate alla procreazione, per cui siamo distinti in maschio e femmina.


La festa della donna è passata, così non rischio di fare il guastafeste. Ma mi chiedevo in che misura la parità tra uomo e donna, sia segno di civiltà, o retaggio ideologico.


Parlo di una ideologia “della liberazione dall'oppressione”, ineccepibile e razionale, ma evidentemente fallace (visti i risultati), della quale ancora stento a capire la possibile evoluzione.

Aspettate un attimo a spararmi addosso... voglio dire che si è cercato il rimedio alla disparità, con la parità, ma oggi dovremmo apprezzare il valore della diversità...


Forse si è cercato di risolvere il problema dello sfruttamento, con una soluzione semplice e applicabile universalmente: "siamo tutti uguali"... una specie di principio di conservazione della quantità di moto, ma tutto da dimostrare.


Come dire: “siamo tutti ricchi”, oppure: “siamo tutti belli”


... non è mica così...


E neanche possibile. Magari non sarebbe poi neanche così divertente

Non dico che uno brutto debba essere perseguitato, ma neanche farci più di tanto caso, o pretendere di essere considerato bello...

Ma più che dire qualcosa dei questa diversità, vorrei tornare alla sottomissione, che sento essere un terreno insidiosissimo. Ma solo per chiedermi se questa sia necessariamente un male da debellare, o solo un tabù.

lunedì 9 marzo 2009

Dove sei ?

Tempo fa viveva con noi un cane; quando andavamo a spasso in campagna, o in un bosco, non stava mai in parte a me: un po' mi precedeva, poi perlustrava a destra, a sinistra, anche dietro, senza mai perdermi di vista.
Io ogni tanto la cercavo con lo sguardo, come per dire “dove sei ?”, ed incontravo il suo sguardo, come per dire: “sono qui”.

Nella Genesi si racconta che il Creatore chiese “Dove sei ?” ad Adamo, che si era nascosto. Sapeva che c'era, altrimenti la domanda non avrebbe avuto senso: una domanda ha senso farla, se c'è qualcuno che ti ascolta.

Come dire: “So che ci sei, ma non ti vedo”

Invisibile

Chi chiede: “Dove sei” non vuole che chi lo ascolta resti invisibile. Tu che mi stai leggendo, per esempio, mi sei invisibile.

Dove sei ?

Sembra una domanda riferita alla posizione nello spazio, ma sottointende “ora”.
Mi vien da dire che si riferisce soprattutto al tempo...

Che senso ha dare coordinate spaziali, senza quella temporale ? Alla distanza nello spazio c'è rimedio (basta spostarsi), ma a quella del tempo, no (quando il treno l'hai perso, l'hai perso).
"Dove sei.. adesso... ? Ogni momento è irripetibile, perché resti invisibile ?

Adamo era rimasto invisibile per vergogna. Noi spesso restiamo invisibili, un po' guardoni, e un po' ignorati... non essere visti, per molti, è quasi un'abitudine.

Se uno si fa vedere troppo, lo additiamo, a meno che lo faccia per professione (show men) o per vocazione politica (little show men).

Tutti gli altri, nell'ombra... nell'incognito...

Dove siamo ?

Se non fosse che ci resta questo gran bisogno di incontrarci, potrei dire che va bene così, perchè nessuno se ne lamenta gran che (io per primo).

Ma secondo voi, va bene così ?.....

“Dove sei ?” non lo diciamo, ma ci andiamo in cerca. A tentoni, perché non ci vediamo. Urtandoci, perché ci sentiamo anche poco.

domenica 1 febbraio 2009

Soglia

Alle volte penso a quante cose stiamo usando, che vent'anni fa neppure immaginavamo;  telefoni cellulari, navigatori satellitari... e mi chiedo quante altre cose avremo tra venti anni, che adesso neanche immaginiamo.  Tutte quelle cose, non sono state ancora inventate, ma stanno per esserlo.


E' come se fossimo sulla soglia, e chiunque potrebbe oltrepassarla.


Da piccolo, varcare una soglia era qualcosa di emozionante, perché accompagnata da un po' di incognita su quello che c'era nell'altra stanza.  Se poi era buia, chiedevamo di essere accompagnati.

Capitava anche di sostare sulla soglia (ed i grandi brontolavano, perché eravamo di impiccio) come per essere un poco nella nuova stanza, ma non del tutto, e non perdere la possibilità di ritirarsi.


Ma, come il paracadutista sul portellone ... non si può stare sulla soglia a lungo.


Ogni istante è una soglia che si varca, per entrare nell'istante successivo, e veramente di quell'istante crediamo di sapere quasi tutto ... e veramente spesso c'è qualcosa di inaspettabile, che ci aspetta.


"Uffa" direte "adesso questo ci parla del Destino".  No, no ... questo un'altra volta.

Restiamo in tema "invenzioni":  è come se le cose che verranno scoperte in questi anni, fossero lì già pronte, in attesa di essere scoperte, e che la scoperta viene fatta finalmente solo in quei momenti particolarmente rari e favorevoli, in cui lo scopritore allarga lo sguardo, e finalmente riconosce la cosa nuova, che era lì da un pezzo, ma nessuno la vedeva.

Già: uno può cercare subito di capire cosa c'è di nuovo, o fare finta di non vederlo. Sta a noi. La paura dell'incognita spesso ci tira indietro, la paura di apparire controcorrente, di passar per fesso, uno che perde tempo.

Ma il peggio è, che pensiamo che le invenzioni riguardino solo la scienza, e la tecnologia, mentre ci sarebbe un gran bisogno di inventare nuovi metodi di convivenza, scoprire le regole dell'equilibrio e della reciprocità: "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te" è un teorema ancora da dimostrare.

domenica 18 gennaio 2009

Adesso

Alle volte -magari capita anche a voi- mi sveglio alle prime luci dell'alba, e mi dico “domani devo fare questa cosa...”.   Poi mi rendo conto che sono già nel nuovo giorno, e mi dico “che stupido, è già domani... e torno a dormire.


L'arbitrarietà nelle demarcazioni del tempo non sembra dare grossi problemi,  ma resta tale.

Come quando si festeggia il capodanno, ed ogni fuso orario lo festeggia in un'ora diversa.  Se il capodanno è un momento, cioè una posizione nel tempo, perché non festeggiarlo simultaneamente ovunque ?


Abbiamo un modo strano di riferirci al tempo, e stentiamo ad adottare dei riferimenti assoluti.

Sembra ridicolo regolare tutti gli orologi rispetto a Greenwich ?  ... beh, un giochino simile lo facciamo due volte l'anno, quando ci fanno impostare l'ora legale.  Non ci sarebbe nulla di straordinario a dire che l'ora resta la stessa, e che si va a lavorare un'ora prima.  Per inciso, debellare l'abitudine dell'andare a lavorare sarebbe di per sé una vittoria epocale.

Eppure certi riferimenti relativi sono proprio ingannevoli, come quel mio amico, ad una cena particolarmente appetitosa, che ci confidava che domani avrebbe cominciato la dieta. 

E' ovvio che domani non sarà mai adesso.


Ancora più ingannevoli sono i riferimenti relativi, come la “contemporaneità”.  La definizione di letteratura contemporanea, che si trova nelle antologie, l'ho sempre trovata buffa, dato che quel libro potrà essere letto tra 100 anni, e quella “contemporaneità”  sarebbe ben difficile da spiegare.

Ma facciamo che state preparando la colazione, e contemporaneamente ascoltate le notizie alla radio.  State facendo due cose nello stesso tempo.  Contemporaneamente, in qualche altra parte del mondo,  magari qualcuno -che so- sta facendo la stessa cosa, oppure sta dormendo, o morendo di fame.

Vi sembrano "contemporanee" allo stesso modo ?

Nel secondo caso l'unica relazione tra le due cose, é che accadono “sotto lo stesso cielo”  (=con le stelle nella stessa posizione),  ma sono due fatti che non conoscete contemporaneamente.  Finch'è non sai che qualcuno,  mentre stai preparando il caffè,  sta morendo di dissenteria,  per malnutrizione e contaminazione dell'acqua,  quel fatto ti è completamente estraneo,  ed è come se non ci fosse, o -siccome prima o poi lo sai- come se avvenisse in un tempo diverso dal tuo.

Ma supponiamo che la notizia che senti per radio, sia proprio relativa allo sterminio per fame.   E che vi dicano "Mentre state facendo colazione per andare a lavorare, c'è un bambino che è agonizzante da giorni, ed ora che stai mescolando lo zucchero è spirato".   Vi lascierebbe ancora indifferenti ?

Non volevo rovinarvi la giornata.  Volevo solo dire che è come se vivessimo in isole del tempo.. non volessimo farci carico dell'adesso del pianeta.  Che aspettassimo che l'adesso diventi storia, per poter dire "è passata".

giovedì 1 gennaio 2009

Esibizionismo

Ho sentito usare questo termine per quelli che frequentano i social network, o per chi si fa un sito personale, o -come me- un blog.

Tu che stai leggendo sei - probabilmente - un navigatore abituale,  e quella definizione ti lascia abbastanza indifferente,  perché sai bene che in rete,  per esserci,  bisogna in qualche modo esporsi.


Vorrei però spiegarti due pensieri che non riesco a tacere.


Esibizionismo sarebbe una specie di infamia che commette chi abbandona il pudore (“Spudorato !”  sarebbe l'insulto).  Il concetto nasce in un contesto “sessuale”, e quindi appare particolarmente disdicevole

Secondo me, che ci sia una componente sessuale in ogni aspetto della nostra vita, non è una gran scoperta.  Come scoprire che c'è acqua in ogni essere vivente... è ovvio: siamo nati lì... Nella nostra breve parabola di nascere e morire, l'atto sessuale è senz'atro essenziale, e guai se non permeasse la nostra effimera esistenza:  sarebbe letteralmente la fine della specie.

Quindi, con tutto rispetto, Freud ha scoperto l'acqua calda, ma ha comunque il grande merito di averci stanati nei nostri assurdi tabù sull'argomento.  Senza peraltro ottenere una vittoria completa, visto che i tabù permangono.

Così, è probabile una componente erotica nel pubblicare sul web, cioè nel “farsi vedere” da sconosciuti.  Le piume un pavone le allarga per rimorchiare, mica per farsi fare una foto... Se poi da un post nascesse una relazione, lo decide il destino, mica noi...

Trovate la cosa particolarmente disdicevole ? Uno dovrebbe andare in clausura per evitare di creare occasioni di peccato ?

Una volta si andava in piazza, o in chiesa la domenica: era lì l'esposizione: come eri vestito, cosa dicevi, come ti muovevi, era sotto gli occhi di tutti.  La scuola è un importante momento di visibilità pubblica, dove -cioè- non scegli tu chi ti guarda.  Oggi resta solo il lavoro, ed è stupefacente il numero di relazioni (intendo dire sessuali) che si creano in quell'ambiente: Clinton è stato solo la punta dell'iceberg.


Credo che sia troppo poco.


Facciamo una vita che ci segrega,  per questo abbiamo bisogno di un po' di esposizione, dove questo è consentito.  Che ci resti solo il web e la discoteca è abbastanza triste... soprattutto per chi -come me- in discoteca non ci va.


Ma c'è un'altra riflessione, relativa al pudore.  Concetto che potremmo declinare in “riservatezza”, e “privacy”,  cioè:  lasciare che le cose intime restino nascoste

Ce l'hanno venduta come un diritto, ed anche importante, ma -secondo me- sono ben altri i diritti da difendere

E la pubblica esposizione su Web di pensieri e cose personali lo dimostrano in modo clamoroso. Ma aggiungerei (come mi ha fatto capire un post di Roberto Venturini) anche il telefonino. Come non notare che la gente non ha nessun problema a parlare al telefono in pubblico ?  Alla gente “normale” non crea gran problema che sconosciuti ascoltino quello che dicono al telefono.  Casomai dà fastidio a chi ascolta, perchè lo distrae.

Ma chi l'ha detto che la privacy va difesa ? Ve lo dico io: quelli che hanno cose da nascondere, e -per fortuna- sono pochi, ma -per sfortuna- potenti.

domenica 28 dicembre 2008

Fiducia

La sera della vigilia, qualcuno di noi ebbe l'idea di fare una sorpresa ai bambini, fingendo l'arrivo di Babbo Natale. Raccogliemmo tutti i doni in una carriola ... uno si travestì ... baffi e barba bianca, e cominciammo la messa in scena: “Avete sentito ? Forse c'è qualcuno fuori in giardino...” … tutti a guardare fuori dalla porta finestra, ed ecco comparire nel buio, tutto vestito di rosso, un Babbo Natale che si sbraccia festoso, fra le esclamazioni di tutti.

Noi avevamo saputo dell'iniziativa all'ultimo momento, ed i pacchettini li avevamo preparati in casa, così Paola, la nostra figlia più piccola, li aveva visti. Quando li ha riconosciuti, sulla carriola spinta da Babbo Natale, ha esclamato “Guarda, Babbo Natale è passato da casa nostra a prendere i regali !”.


Come si chiama questa ? Ingenuità ? Fiducia ? Plagio ?


C'erano tutte le evidenze del trucco:  quelli erano i pacchettini preparati dalla mamma !  Ma tutti avevano riconosciuto Babbo Natale... quindi Babbo Natale era andato a casa, a prendere i pacchettini...

La fiducia sembra una forma di resa. Parlo di fiducia, evitando di proposito il termine “fede”, troppo impegnativo per me.

Fiducia per condiscendenza,  o perché non ho alternative... o per sottrarsi all'onere della conoscenza...


La fiducia la tiriamo in ballo quando c'è qualcosa che non possiamo (o non vogliamo) verificare direttamente come vero o falso.   Sono interessanti i casi in cui questa verifica non è possibile, perché riguarda qualcosa che avverrà nel futuro.


Questo è periodo di auspici.   Si usa dire che un anno sta finendo e ne sta cominciando un altro. L'arbitrarietà di questa demarcazione non sembra essere un gran problema, neppure per quelle popolazioni che hanno date diverse dalla nostra per celebrare il capodanno.


Questa arbitrarietà ben si sposa con la formalità degli auguri che ci scambiamo.    Ma dietro al rito ci sono degli auspici, che pronunciamo solo nell'intimità dei nostri pensieri, per nulla superficiali.

Credo ne facciamo tutti, chi più chi meno...

Si dice che non vanno detti, altrimenti non si realizzano;   si dice che bisogna crederci intensamente e si realizzeranno di sicuro;    si dice che si avverano quando non ci speri più... Ma cosa sono ?  Perché farli a capodanno ?


L'impenetrabilità del tempo futuro viene scalfita appena dall'immaginare una situazione a noi favorevole come possibile.  Come mai ci sentiamo così bene quando il nostro desiderio si è formato in pensiero, e lo collochiamo in un tempo impreciso, ma finito, a partire da oggi, e precisamente entro il ciclo delle 4 stagioni ?


Cosa accede l'ultimo dell'anno, che rende più verosimile la nostra fantasia ?


Il ciclo dell'orbita terrestre attorno al sole è sicuramente quello che più influenza la natura vivente,  ma non è certamente l'unico ciclo cosmico percepibile.  Gli auguri si fanno anche nei compleanni,  ma anche qui il ciclo annuale si impone come significativo universalmente.


Non lo so, ma mi vien da dire che la relazione tra la fiducia, e la dimensione tempo, nelle sue metriche palpabili, sia molto stretta.


Ma torniamo al Babbo Natale, che ha preso i pacchettini a casa mia.... tutti noi abbiamo riso. Qualche giorno fa, ci cadde una bottiglia di vino sulla tovaglia.  Come si usa dire, di fronte a quel piccolo disastro, abbiamo esclamato “Allegria !”, alla Mike Buongiorno.   Paola ha osservato seria: “C'è poco da stare allegri”.

Perché abbiamo riso tutti di fronte all'eccesso di fiducia di Paola ?  Lo dico anch'io: c'è poco da stare allegri:  in quante altre situazioni la facciamo noi l'ingenuità di Paola ?   ci dicono che Saddam ha le armi di distruzione di massa, e noi avvalliamo la distruzione di una nazione;  ci dicono che abbasseranno le tasse e noi... perchè diamo fiducia così facilmente ?


E' il tempo che ci imbroglia, il tempo che passa... la fiducia che abbiamo dato, ci ha fatto stare tranquilli quando l'abbiamo data, e questo basta...

La fiducia riguarda sempre qualcosa di favorevole. Non si dice: “mi auspico di fare un incidente stradale”  (se non per cinico sarcasmo)  anche se -in tutta franchezza- è un evento abbastanza probabile. 

Anche quando l'indovino ti prevede un evento nefasto, dargli fiducia significa beneficiare del vantaggio che lui ti ha dato,  fornendoti l'informazione in anticipo,  e consentendoti di prendere provvedimenti per proteggerti da quell'evento.


Da qui, penso, il senso di sollievo dell'esprimere un desiderio, e riporre fiducia nella possibilità che si avveri.  Dare fiducia è il sintomo che il nostro animo è già orientato positivamente verso il futuro:  non è la causa di questa sensazione di ottimismo.... Ma perché a capodanno ?

Beh, perchè è l'inizio:  mica puoi sperare che il film sia bello, quando l'hai visto tutto.... Come quei due che -al cinema- si sono messi a scommettere su chi avrebbe vinto, tra due che, in una scena del film, stavano gareggiando.  Quello che vinse la scommessa,  uscendo dal cinema,  confessò che quel film l'aveva già visto.  “Anch'io” disse il secondo “ma stavolta l'altro mi sembrava più in forma”.

La fiducia è una cosa seria... diceva un vecchio carosello, così, per una sera, sta bene essere esageratamente ottimisti, e riderci a crepapelle !  



sabato 20 dicembre 2008

Crisi

Spaventa, e fa soffrire,  ma mi vien da dire che non dura.

Da incompetente,  s'intende,  ma per me i consumi sono come l'entropia, non possono calare:  può sembrarti, in una certa zona, in un certo periodo, come quando si forma un cristallo, ma nel complesso non possono far altro che crescere... destino inesorabile.

Al massimo calano i consumatori...


Ho pochi soldi ?  Ok, quella spesa non la faccio adesso, aspetto un po'... ma sta sicuro che poi la faccio. La macchina nuova ? Beh, rimando, sei mesi, che so, un anno, ma poi la compero.

Ovviamente se fanno tutti così,  sembra una catastrofe... e parte la cassa integrazione.

L'imprenditore, quando c'è da incassare, mette via,  ma quando c'è da tirare fuori, mette in cassa integrazione...  non lo dico per fare il qualunquista:  nel mio piccolissimo sono imprenditore anch'io...   sono le regole del gioco, chi non le conosce, passa per pollo.    

Vuoi giocare ? Svegliarsi, queste sono le regole.


La base dei consumatori è in continua, drammatica (per le risorse)  espansione, a macchia d'olio: chi si è abituato con la carta igienica, non passa alla carta da giornale.  Casomai la compera al discount (che poi costa meno del quotidiano).


I guru della finanza dicono “vedrete che durerà parecchio”. L'avevano prevista l'impennata del prezzo del petrolio ?   E l'avevano prevista la ricaduta dopo poche settimane ?   Se stessero zitti, non sarebbe meglio ?   Quella volta che lo fanno, dovremmo fargli un bell'applauso, che so, dargli il premio Nobel, chissà che capiscano...


Come mai questa crisi ?  La domanda successiva, è:  "a chi giova ?"...  A chi potrebbe giovare la crisi ?   Beh, che l'economia oscilli,  è necessario ai meccanismi della speculazione, che non guadagna quando il prezzi sono stabili.    Quali meccanismi di stabilizzazione sono stati introdotti dal 1929 in poi ?    Quali freni sono stati messi alla speculazione ?


Speculare è una parola ricca di significati...


Osservare attraverso uno specchio”... perché mai ? Lo specchio non è la realtà:  c'è distacco. Chi specula non si sporca le mani con l'attività su cui scommette.   Compra e vende,  ma non produce,  non impiega...  opera in modo virtuale (cioè lascia che operino gli altri).

Anche come soggetto,  forse,  lo speculatore è poco reale,  nel senso che è una realtà incredibilmente diffusa ed evanescente.   Tu ed io (inconsapevolmente ?)   siamo speculatori, perché abbiamo affidato del danaro a qualcun'altro,  che lo ha affidato a qualcun'altro,  che ha finanziato qual'un'altro,  che ha comperato... e via discorrendo.


Se penso agli speculatori, non immagino una cupola di delinquenti, ma una combinazione di atteggiamenti -ormai eticamente accettati- finalizzati al beneficio personale,  che vuole ignorare l'eventuale sfruttamento di altre persone.   Talmente virtuali da essere irriconoscibili.


Dicono che è una crisi finanziaria,  perché manca liquidità.   Io avevo capito che la liquidità è il danaro.   Qualcosa di fisico.   Mica può scomparire...   Qualcuno ce lo dovrebbe avere, in questo momento.   Che lo tenga nascosto, come Paperon dei Paperoni ?     Sotto il materasso, come i nostri vecchi ?   Se guardi le statistiche della cartamoneta stampata, in circolazione ce n'è milioni di tonnellate:  se qualcuno li avesse bruciati si vedrebbe il fumo.


Fumo, altra parola usatissima, a proposito della crisi.


Andati in fumo in una sola seduta miliardi di euro”... Ma cosa vuol dire ?   Se sono il proprietario -che so- della Fininvest,  e c'è un crollo del titolo,  continuo ad essere proprietario della Fininvest, o no ?  Cosa ci ho rimesso ?    Mica volevo venderla !    Se il mio scopo era venderla,  perché l'ho comperata ?    Diverso è,  se ho i miei risparmi in un fondo,  che mi serviranno quando sarò vecchio;  è diverso perché, quando andrò a chiedere in restituzione i soldi, me ne daranno meno di quelli che avevo versato tanti anni prima.   Non è mica la stessa cosa !   Io non volevo “Essere proprietario del Fondo”, volevo solo fare previdenza...   ma i miei soldi non sono “andati in fumo”.. sono stato vittima di un sistema che non mi consente di fare previdenza...


Su una cosa tutti sono d'accordo, e cioè che la forbice tra ricchi e poveri si è allagata.   Nessuno sembra ricordare che questo fatto è sempre stato foriero di conflitti.   Il confronto con il 29 magari è fuori luogo, e non voglio pensare a quello che è successo dieci anni dopo... però sarebbe meglio stare un po' allerta, e pensare seriamente alle condizioni di vita di quelli che stanno peggio...

Le vicende del mondo,  credo d'aver capito,  hanno il vizio di ripetersi.

martedì 9 dicembre 2008

Natale

Chissà se sarà finalmente un Natale austero.   Senza regali, senza addobbi, senza ingorghi, senza ansia.    Poverelli e sereni, come ad Assisi.
A contemplare lo spettacolo di una nascita.
Penso sia veramente uno spettacolo che merita ammirazione: inizio del tempo individuale.    Reset completo della memoria, come quando ti svegli da un sogno.    Inizio delle percezioni, dei bisogni... delle tribulazioni.
Ieri sera con Paola si parlava della nonna, che è morta qualche mese fa.    Ad un certo punto, le sono venuti i goccioloni agli occhi, ed ha fatto la scafa: “Io non voglio morire”.    E' stata inconsolabile: “Non voglio neanche diventare grande, se no anche tu muori”.
Troppe cose belle adesso … troppo bello stare assieme … troppo bello vivere ... Paola non vuole rinunciarci.
Ma non voglio fare lo strappalacrime, solo considerare a quante cose vere potremmo pensare, contemplando il bambinello,  se solo togliessimo dal Natale la frenesia dei consumi.

Veramente

Veramente, cioè: "davvero", ma anche "sul serio"...

Non ricordo di cosa parlavamo, ma un certo momento il discorso è caduto sulla verità, e allora le ho chiesto:  “Ma cos'è la verità ?”,  per curiosità,  per vedere cosa mi rispondeva.   Sul momento Paola si è schernita:  “Non lo so”,  sorridendo,  ma io insistevo: “Dai che lo sai”,  e mi ha spiegato seria, come si spiega a qualcuno un po' tonto: “Verità è capire le cose”.

Mi chiedo se siamo talmente figli del razionalismo, da considerare vero solo ciò che è illuminato dalla ragione....  e ne siamo talmente convinti, da riuscire a trasmette questa convinzione ad una bambina di 4 anni ?
No, no...  la spiegazione di Paola è -in effetti- elementare, e mi fa riflettere.   Capire è un prerequisito per riconoscere qualcosa come vero.   Paola di sicuro non parlava della scomposizione - analitica - razionale...  ma del "capire" come consapevolezza,   “far proprio” un concetto,  e forse -prima ancora- uno stato d'animo.
Se non conosco, come posso considerare vero qualcosa ? Ma per conoscere, occorre un po' di tempo, un po' di calma.    Se sono ossessionato dai miei bisogni, rincorso dalla fretta, come posso dedicarmi alla distinzione tra vero e falso ?   Avete mai provato a studiare,  con qualcosa che vi assilla,  che so,  il bisogno di andare al gabinetto...  dite la verità: è impossibile !
Così ben venga -e lo auguro a tutti- un Natale sereno, e poverello.
Se fosse di tutti (parlo di noi paesi ricchi),  questa crisi economica sarebbe benedetta.   Se non fosse solo sulle spalle dei più sfortunati,  sarebbe una grande opportunità.   Se fosse un fiore, sarebbe un bucaneve.