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domenica 17 maggio 2009

Scuole di canto

Quando mia figlia è contenta, lo si capisce subito, perché canta. In questo periodo la preferita fa: “C'era un ragasso, che come me, cantava i bitol e i rolli sto”. L'ha sentita qualche settimana fa, da una vecchia musicassetta. Forse la voce della signora Baez, forse quel “ratta tatta ta tara ratta ta”, ma è rimasta come rapita, ed ha voluto sapere tutto delle parole.
Cosa rappresenta una canzone, per una bimba di 4 anni e mezzo, io proprio non lo so.

Per certo a me, ed a tanti, la musica dà veramente tanto.

Quando piace, la musica la senti giusta, come lo sbadiglio quando hai sonno: dopo lo sbadiglio dormi meglio, dopo la musica, vivi meglio.

La musica serve a tutti, ed è per forza di tutti. Avete mai sentito qualcuno, dal palco, dire: “Guai se la cantate anche voi”: casomai il contrario, e se tutti la cantano con lui, è straordinariamente bello.
...altro che diritto d'autore. Io penso che il denaro ci stia trascinando in una perversione sconfinata. Abbiamo a pagamento la musica, l'acqua, tra un po', vedrete, ma davvero, anche l'aria. La perversione, è che ci sembrerà normale, come adesso la musica e l'acqua.

Secondo me (so di essere ingenuo) in qualche modo la Comunità si dovrebbe preoccupare di sostenere chi ha talento musicale, perché se lo coltiva, va bene a tutti, ma non vedo perché ne dovrebbero beneficiare gli eredi: magari sono pure stonati.

Ma vorrei tornare a questo mistero della musica, così futile, così immateriale, e così importante per la nostra vita.

Cosa succede, dentro di noi, che ci fa piacere ?

Chi ha letto altri miei post, sa che sul tema sono un fissato.. ma la mia idea ve la devo proprio dire (ovviamente potete smettere di leggere)...
beh, per me, il piacere della musica è strettamente legato al tempo, ed esattamente alla giustezza del tempo.

Provo a spiegarmi meglio: in un brano musicale, non c'è solo il tempo del ritmo, o quello più lungo delle strofe musicali: i suoni sono vibrazioni che si distinguono per il tempo che caratterizza l'oscillazione.

In una canzone si intersecano tempi scansionati in una moltitudine di regolarità, e tutti vengono riverberati dentro di noi.
Grazie a queste regolarità, che la nostra mente recepisce bene, la musica dà -al tempo che scorre- un senso inspiegabile.

La musica rende tangibile il tempo, ne scova la giustezza, e collega questa giustezza all'esperienza della vita... specie se, con la musica, ci sono parole.
E' come se la musica riuscisse a isolare, nella nostra vita, qualcosa di giusto... a chi, questo, non fa piacere ?

Una canzone stonata, una stecca in un brano, distruggono il senso di giustezza, e risultano sgradite.

Ma cos'è questa giustezza ?
Penso che il senso della giustezza sia come gli aminoacidi delle nostre proteine: siamo fatti così, c'è poco da spiegare: con poche variazioni, il senso della giustezza è uguale per tutti, come le sequenze di aminoacidi.

Ma lasciatemi fare una domanda... secondo voi, tra Giustezza e Giustizia, qual'è la distanza nello spazio dei significati ?

Entrambe, secondo me, non possono essere spiegate.
Entrambe, secondo me, non possono sottostare alle leggi dell'economia. Penso che se ci trovate uno specifico tornaconto, nell'adozione dei Principi etici di Giustizia, io credo sia stato inventato apposta, per farli digerire agli economisti.
Entrambe, secondo me, sono universali: come il senso della giustezza, anche la giustizia, è uguale per tutti, e per questo che anche la Legge dovrebbe esserlo.

Peccato che da noi, in Parlamento, qualcuno si ostini a suonare solo per sé stesso.
Le leggi le chiama “lodo”, così si capisce meno che hanno a che fare con la Giustizia...
La cosa strana, è che nessuno fa più di tanto caso alle stonature: forse perché ci sono altri, nell'orchestra dell'opposizione, che magari suonano anche peggio di lui.

Io sento una gran mancanza di scuole di canto... e voi ?

domenica 3 maggio 2009

Necessario

Ieri osservavo una rana in uno stagno. Teneva fuori dal pelo dell'acqua appena gli occhi e le due narici. Dopo la metamorfosi da girino - mi avevano spiegato a scuola - le rane perdono le branchie, e per respirare devono uscire dall'acqua. La rana che stavo osservando non aveva nessuna intenzione di uscire dall'acqua, ma le era necessario respirare.

Necessario

E' necessario quello che serve . . . e c'è poco da discutere, quando qualcosa è necessario, non puoi fare a meno. Se per vincere è necessario partecipare, non ci sono alternative: se non partecipi non puoi vincere.
Il senso della necessità lo impariamo: un po' l'esperienza, un po' l'istinto, un po' l'educazione.
Se uno ha un senso profondo della necessità, può apparire un eroe, uno che sacrifica sé stesso, invece non aveva alternative... solo che a lui era chiaro che non c'erano alternative, agli altri no. O non in modo così netto.

La necessità ha a che fare con la conoscenza delle regole del gioco. Una rana stupida potrebbe credere che può stare sott'acqua all'infinito, ed è forse un'intelligenza molto molto profonda, che la spinge ad emergere, almeno con le narici.
Io però non credo che la rana conosca le regole della respirazione, così temo che anche per noi il senso di necessità abbia poco a che fare con la consapevolezza.
E forse tante cose che riteniamo necessarie, non lo sono affatto.

domenica 19 aprile 2009

Scelte

Non so se è capitato anche a voi, la mattina, di sbagliare strada. Magari quando avete cambiato lavoro, e distrattamente avete imboccato ancora la direzione che eravate soliti prendere.


Distrazione


Capita quando si cambia un'abitudine, e non si sta attenti... ma a me sembra che il vero problema non sia la mancanza di attenzione, quanto piuttosto il fatto che di norma non é necessario stare attenti.


In effetti, il nostro fare quotidiano è prevalentemente la ripetizione di comportamenti, e davvero poco spesso sono richiesti atti volontari... le “scelte”... per le quali è strettamente necessaria la nostra attenzione.

Un mio amico sosteneva che noi crediamo di essere molto più razionali di quanto non siamo effettivamente. Ad esempio, quando acquistiamo un'automobile, crediamo di aver fatto una scelta razionale, e di aver individuato l'auto migliore, come prezzo e caratteristiche... ma se questo fosse vero, avremmo in circolazione molte meno varianti di automobile...


Così le nostre scelte non sarebbero molto diverse da quella della foglia che “ha voluto cadere”.


Volontaria o meno, consapevole o meno, scegliere apre una biforcazione del tempo: ci sono due possibili universi di sequenze di eventi, e la scelta rende impossibile uno dei due. Un fatalista direbbe che uno dei due universi era già impossibile prima che la scelta fosse fatta, solo che chi fa la scelta non lo sa... ma a me il fatalismo non piace, perché mi fa sentire deficiente.


Poi, apparentemente, abbiamo spesso la possibilità fare delle scelte. Ma quali scelte ?


Quando ero, per lavoro, a Roma, se ordinavo un caffè al bar, mi chiedevano “tazza o vetro ?”; io pensavo “ma il caffè non è lo stesso ?” e davo la prima risposta che mi capitava. Magari un altro, a cui non lo chiedevano, poteva pensare “beh, però poteva almeno chiedermi se lo volevo in vetro”, e restarci male. Così la libertà di scelta non ha lo stesso valore per tutti...


Ma ci sono scelte subdole: “Volete libero Gesù o Barabba ?” io dico: ma che cavolo di domanda è ? ... a me andava bene che fossero liberi entrambi.


Viene proposta una scelta: sembra “libertà di scelta”, invece questa libertà viene barattata con l'accettazione di qualcosa ben più vincolante: uno dei due deve comunque finire in croce. Ce ne sono un sacco di casi così...


Tra un po' voteremo per il referendum. Leggeremo un quesito poco comprensibile, e potremo “scegliere” se accettare o abrogare quella norma. Se non siamo sicuri, però, possiamo non votare, e così anche le scelte fatte da chi si sentiva sicuro della scelta fatta, verranno annullate. A me sembra una regola fatta da qualcuno non vuole assolutamente che noi si faccia delle scelte, perché è una regola che fa decidere gli incerti.


Dice: “Ma questa è democrazia” ... Cosa ? “Governo del popolo”... Di chi ? “Il popolo, io, tu, tutti: è il modo più moderno per governare”.... Ma, chi lo vuole veramente un Popolo che ti comanda ? La folla è sinonimo di ingovernabilità, di efferatezza, tipo: “La folla inferocita voleva linciare il poveretto” …. Diciamocela tutta, la maggior parte delle persone, non vuole affatto governare, ma essere governato bene. Vuole qualcuno che si prende cura dei problemi, ed abbastanza scaltro da sorprenderti con le decisioni che prenderà, decisioni a cui tu non avresti mai pensato, e che ti lasciano ammirato.

Così, come si vede, non sarebbe di democrazia che c'è desiderio, ma di buon governo.


Molti di noi, in cambio di questo, rinuncerebbero volentieri all'onere della scelta, e si accontenterebbero di quella offerta dal telecomando, senza nulla in cambio.

Molti già lo fanno.

giovedì 19 marzo 2009

Antenne

Ce n'è dappertutto: quelle della TV, prossime al pensionamento, svettano ancora sui tetti; quelle dei telefonini ormai mimetizzate; quelle nelle automobili, invisibili, in attesa dei telecomandi. Alcune stanno in ascolto di impercettibili segnali, altre li irradiano.  Stanno su grossi tralicci, come le antenne delle radio, o delle telecom,  o in posti impensabili, come nei satelliti artificiali sopra di noi.

Il segnale che loro raccolgono, noi lo percepiamo decodificato, ripulito, amplificato, convertito in funzioni... come dire:  ci interessa l'essenza... della vinaccia e degli alambicchi non ci curiamo.


Quando facciamo una telefonata al cellulare, nessuno pensa a quanto sia complesso distinguere, tra tutti i segnali che circolano, proprio quello che modula esattamente come la voce del nostro interlocutore, e ci permette di comprendere -a distanza- quello che lui sta dicendo.

Ma all'aumentare delle antenne, aumentano i segnali da separare... e mi chiedo se ci potrà essere un momento in cui la babele di segnali sarà tale, che sarà difficile discriminare i segnali tra di loro... come in quelle riunioni in cui tutti parlano, e non riesci più a seguire il discorso di nessuno.


A quel punto sarà inutile trasmettere, perché sarà impossibile distinguere tra le innumerevoli fonti di segnali simili: ...saturazione... Chissà quanto siamo lontani dal punto di saturazione...

...saturazione...

Quando si raggiunge il punto di saturazione (parlo, ad esempio, del sale da cucina sciolto nell'acqua), succede un fenomeno straordinario, perché va contro il principio che vuole che l'entropia aumenti sempre: la formazione del cristallo. Come dire: quando il casino ha raggiunto punti insopportabili, ecco il miracolo: le particelle si mettono in ordine, da sole... in un ordine perfetto e inatteso.  E quest'ordine sembra essere “contagioso”, e si propaga... ed il cristallo cresce, cresce, secondo direzioni predefinite con una forma strabiliante.

Io dico che le particelle avrebbero saputo mettersi in ordine anche prima, ma c'era troppa libertà, troppo spazio da occupare: come resistere alla tentazione di occuparlo tutto ? Mettetevi nei panni della particella di sodio dell'acqua minerale (di cui non ricordo il nome, dimostrando che -.almeno per me- tutta quella pubblicità è stata assolutamente inutile). Dicevo: mettetevi nei panni di una particella, provate ad avere molto spazio, un sacco di spazio tutto attorno: è chiaro che vi mettereste a gironzolare,  per studiarlo un po'... ma quando la situazione diventasse un po' troppo caotica... la tentazione di fermarsi a guardare cosa succede, verrebbe anche a voi... e di sicuro, qualcun altro seguirebbe il vostro esempio, e vi si siederebbe in parte.

Insomma, la cristallizzazione è assolutamente normale, e questo non era necessario che lo dicessi.

Direi che è anche improvvisa, almeno nel suo esordio, con una crescita successiva molto tranquilla.


Ma, tornando alle nostre antenne, cosa succederà quando avremo saturato lo spazio circostante, con tutte le possibili radiazioni elettromagnetiche ? In cosa consiste la saturazione, e la cristallizzazione che improvvisamente -io suppongo- si svilupperà subito dopo ?


Una cosa che si nota subito, è che nel cristallo non c'è movimento (salvo qualche vibrazione)

Ora, se non c'è movimento, non c'è neanche il tempo, nel senso che non c'è modo di misurarlo.


Il diamante è per sempre”: l'idea di immutabilità è proprio connaturata al cristallo.


La fine del tempo ?


Che sia questa la cristallizzazione cui andiamo incontro ?

Ecco l'ennesima ipotesi apocalittica” direte voi, ma prima di rigettarla d'istinto, provate a seguirmi, ed a studiarla più da vicino.


Questo è lo scenario: i produttori di dispositivi muniti di antenna sfornano i loro prodotti, ma capiterà che sempre più spesso si troveranno ad operare in zone sature e non funzioneranno. I produttori allora miglioreranno le tecnologie usate, ma il beneficio sarà di breve durata, e riguarderà solo quelli che si possono permettere il costo delle tecnologie più moderne. Per la maggior parte delle persone, tante attività normali, si potranno fare con difficoltà, solo in certe ore, o in certi posti. La loro capacità di produrre calerà, e verranno emarginati. Una crisi, non legata a titoli tossici, ma ad una indigestione di radiazioni... costipazione elettromagnetica.

Chiamiamola come vogliamo, comunque una crisi.  Siccome non sarà la prima, molte persone cercheranno una soluzione alla loro esistenza in stato di ristrettezza economica.  Potrebbero esserci ribellione, oppure adattamento.  Forse i primi che individuano una condizione di adattamento ragionevole, potrebbero essere il germe perché altri seguano l'esempio, e ne imitino lo stile di vita.  Essendo sviluppato in condizioni di povertà, dovrebbe essere uno stile poco dissipativo... insomma, ordinato ed efficiente... come dire, cristallino...

Forse disobbedirà alle leggi dell'economia

Il tempo “occidentale”, segnato dalla fretta del fare, lascerebbe il posto a vibrazioni diverse, più lente e interne: non ci sarebbe posto alla frenesia; impensabile spostarsi come oggi....

Fosse vero...ci abitueremmo ? Vivremo come in un secondo paradiso terrestre, o sarà piuttosto il riscaldamento globale a riportarci tutti “in soluzione” (o, meglio, in “dissoluzione” ) ?

domenica 15 marzo 2009

Sottomissione

Ecce ancilla domini. Un atto di sottomissione ? ...Sottomettersi … è come dire: mettersi sotto.. chi guarda non vede te, ma quello che ti sta sopra... è lui che comanda.  Domina, o, più semplicemente, guida ?

Nell'atto di “mettersi sotto”, l'attore è chi sceglie di farsi sottomesso. Perché dovrebbe farlo ?


Capita, in certe gite in montagna, con comitive numerose, che si faccia un po' fatica a prendere le decisioni: “andiamo sul ghiacciaio, o ci fermiamo al rifugio” ?

Se c'è un leader, decide lui. Se è bravo, lascia che sembri che siate voi a decidere.

Se è bravo, ti sta bene che sia lui a decidere.

Se non è bravo, la comitiva si disfa, e la gita non si ripete, finché non si trova un altro più bravo.


Ciao, sembra voglia dire “sciavo vostro”: semrava un saluto, invece è ancora un atto di sottomissione...


Chi si mette al servizio di qualcun altro, in genere si aspetta qualcosa in cambio. Mangiare, essere protetto, nei tempi antichi. Oggi si monetizza tutto, ma in fondo è la la stessa cosa: il denaro, di per sé, non è particolarmente utile, ma viene scambiato facilmente con altre cose.


Essere sottomessi -credo- vada riscoperto, come vada approfondita la dialettica tra chi guida e chi è guidato, e vadano anche ridefinite le regole di avvicendamento di chi sta alla guida, ed i diritti di chi è guidato, ed i doveri di chi guida.


Con una serie di regole ragionevoli, la sottomissione non pesa. A voi pesa essere sottomessi alle leggi della fisica ? Me ne faccio una ragione, e smetto di fare i 150 sul bagnato...


Ma lasciatemi sconfinare su un'altra categoria di leggi naturali, legate alla procreazione, per cui siamo distinti in maschio e femmina.


La festa della donna è passata, così non rischio di fare il guastafeste. Ma mi chiedevo in che misura la parità tra uomo e donna, sia segno di civiltà, o retaggio ideologico.


Parlo di una ideologia “della liberazione dall'oppressione”, ineccepibile e razionale, ma evidentemente fallace (visti i risultati), della quale ancora stento a capire la possibile evoluzione.

Aspettate un attimo a spararmi addosso... voglio dire che si è cercato il rimedio alla disparità, con la parità, ma oggi dovremmo apprezzare il valore della diversità...


Forse si è cercato di risolvere il problema dello sfruttamento, con una soluzione semplice e applicabile universalmente: "siamo tutti uguali"... una specie di principio di conservazione della quantità di moto, ma tutto da dimostrare.


Come dire: “siamo tutti ricchi”, oppure: “siamo tutti belli”


... non è mica così...


E neanche possibile. Magari non sarebbe poi neanche così divertente

Non dico che uno brutto debba essere perseguitato, ma neanche farci più di tanto caso, o pretendere di essere considerato bello...

Ma più che dire qualcosa dei questa diversità, vorrei tornare alla sottomissione, che sento essere un terreno insidiosissimo. Ma solo per chiedermi se questa sia necessariamente un male da debellare, o solo un tabù.

lunedì 9 marzo 2009

Dove sei ?

Tempo fa viveva con noi un cane; quando andavamo a spasso in campagna, o in un bosco, non stava mai in parte a me: un po' mi precedeva, poi perlustrava a destra, a sinistra, anche dietro, senza mai perdermi di vista.
Io ogni tanto la cercavo con lo sguardo, come per dire “dove sei ?”, ed incontravo il suo sguardo, come per dire: “sono qui”.

Nella Genesi si racconta che il Creatore chiese “Dove sei ?” ad Adamo, che si era nascosto. Sapeva che c'era, altrimenti la domanda non avrebbe avuto senso: una domanda ha senso farla, se c'è qualcuno che ti ascolta.

Come dire: “So che ci sei, ma non ti vedo”

Invisibile

Chi chiede: “Dove sei” non vuole che chi lo ascolta resti invisibile. Tu che mi stai leggendo, per esempio, mi sei invisibile.

Dove sei ?

Sembra una domanda riferita alla posizione nello spazio, ma sottointende “ora”.
Mi vien da dire che si riferisce soprattutto al tempo...

Che senso ha dare coordinate spaziali, senza quella temporale ? Alla distanza nello spazio c'è rimedio (basta spostarsi), ma a quella del tempo, no (quando il treno l'hai perso, l'hai perso).
"Dove sei.. adesso... ? Ogni momento è irripetibile, perché resti invisibile ?

Adamo era rimasto invisibile per vergogna. Noi spesso restiamo invisibili, un po' guardoni, e un po' ignorati... non essere visti, per molti, è quasi un'abitudine.

Se uno si fa vedere troppo, lo additiamo, a meno che lo faccia per professione (show men) o per vocazione politica (little show men).

Tutti gli altri, nell'ombra... nell'incognito...

Dove siamo ?

Se non fosse che ci resta questo gran bisogno di incontrarci, potrei dire che va bene così, perchè nessuno se ne lamenta gran che (io per primo).

Ma secondo voi, va bene così ?.....

“Dove sei ?” non lo diciamo, ma ci andiamo in cerca. A tentoni, perché non ci vediamo. Urtandoci, perché ci sentiamo anche poco.

domenica 1 febbraio 2009

Soglia

Alle volte penso a quante cose stiamo usando, che vent'anni fa neppure immaginavamo;  telefoni cellulari, navigatori satellitari... e mi chiedo quante altre cose avremo tra venti anni, che adesso neanche immaginiamo.  Tutte quelle cose, non sono state ancora inventate, ma stanno per esserlo.


E' come se fossimo sulla soglia, e chiunque potrebbe oltrepassarla.


Da piccolo, varcare una soglia era qualcosa di emozionante, perché accompagnata da un po' di incognita su quello che c'era nell'altra stanza.  Se poi era buia, chiedevamo di essere accompagnati.

Capitava anche di sostare sulla soglia (ed i grandi brontolavano, perché eravamo di impiccio) come per essere un poco nella nuova stanza, ma non del tutto, e non perdere la possibilità di ritirarsi.


Ma, come il paracadutista sul portellone ... non si può stare sulla soglia a lungo.


Ogni istante è una soglia che si varca, per entrare nell'istante successivo, e veramente di quell'istante crediamo di sapere quasi tutto ... e veramente spesso c'è qualcosa di inaspettabile, che ci aspetta.


"Uffa" direte "adesso questo ci parla del Destino".  No, no ... questo un'altra volta.

Restiamo in tema "invenzioni":  è come se le cose che verranno scoperte in questi anni, fossero lì già pronte, in attesa di essere scoperte, e che la scoperta viene fatta finalmente solo in quei momenti particolarmente rari e favorevoli, in cui lo scopritore allarga lo sguardo, e finalmente riconosce la cosa nuova, che era lì da un pezzo, ma nessuno la vedeva.

Già: uno può cercare subito di capire cosa c'è di nuovo, o fare finta di non vederlo. Sta a noi. La paura dell'incognita spesso ci tira indietro, la paura di apparire controcorrente, di passar per fesso, uno che perde tempo.

Ma il peggio è, che pensiamo che le invenzioni riguardino solo la scienza, e la tecnologia, mentre ci sarebbe un gran bisogno di inventare nuovi metodi di convivenza, scoprire le regole dell'equilibrio e della reciprocità: "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te" è un teorema ancora da dimostrare.

domenica 18 gennaio 2009

Adesso

Alle volte -magari capita anche a voi- mi sveglio alle prime luci dell'alba, e mi dico “domani devo fare questa cosa...”.   Poi mi rendo conto che sono già nel nuovo giorno, e mi dico “che stupido, è già domani... e torno a dormire.


L'arbitrarietà nelle demarcazioni del tempo non sembra dare grossi problemi,  ma resta tale.

Come quando si festeggia il capodanno, ed ogni fuso orario lo festeggia in un'ora diversa.  Se il capodanno è un momento, cioè una posizione nel tempo, perché non festeggiarlo simultaneamente ovunque ?


Abbiamo un modo strano di riferirci al tempo, e stentiamo ad adottare dei riferimenti assoluti.

Sembra ridicolo regolare tutti gli orologi rispetto a Greenwich ?  ... beh, un giochino simile lo facciamo due volte l'anno, quando ci fanno impostare l'ora legale.  Non ci sarebbe nulla di straordinario a dire che l'ora resta la stessa, e che si va a lavorare un'ora prima.  Per inciso, debellare l'abitudine dell'andare a lavorare sarebbe di per sé una vittoria epocale.

Eppure certi riferimenti relativi sono proprio ingannevoli, come quel mio amico, ad una cena particolarmente appetitosa, che ci confidava che domani avrebbe cominciato la dieta. 

E' ovvio che domani non sarà mai adesso.


Ancora più ingannevoli sono i riferimenti relativi, come la “contemporaneità”.  La definizione di letteratura contemporanea, che si trova nelle antologie, l'ho sempre trovata buffa, dato che quel libro potrà essere letto tra 100 anni, e quella “contemporaneità”  sarebbe ben difficile da spiegare.

Ma facciamo che state preparando la colazione, e contemporaneamente ascoltate le notizie alla radio.  State facendo due cose nello stesso tempo.  Contemporaneamente, in qualche altra parte del mondo,  magari qualcuno -che so- sta facendo la stessa cosa, oppure sta dormendo, o morendo di fame.

Vi sembrano "contemporanee" allo stesso modo ?

Nel secondo caso l'unica relazione tra le due cose, é che accadono “sotto lo stesso cielo”  (=con le stelle nella stessa posizione),  ma sono due fatti che non conoscete contemporaneamente.  Finch'è non sai che qualcuno,  mentre stai preparando il caffè,  sta morendo di dissenteria,  per malnutrizione e contaminazione dell'acqua,  quel fatto ti è completamente estraneo,  ed è come se non ci fosse, o -siccome prima o poi lo sai- come se avvenisse in un tempo diverso dal tuo.

Ma supponiamo che la notizia che senti per radio, sia proprio relativa allo sterminio per fame.   E che vi dicano "Mentre state facendo colazione per andare a lavorare, c'è un bambino che è agonizzante da giorni, ed ora che stai mescolando lo zucchero è spirato".   Vi lascierebbe ancora indifferenti ?

Non volevo rovinarvi la giornata.  Volevo solo dire che è come se vivessimo in isole del tempo.. non volessimo farci carico dell'adesso del pianeta.  Che aspettassimo che l'adesso diventi storia, per poter dire "è passata".

giovedì 1 gennaio 2009

Esibizionismo

Ho sentito usare questo termine per quelli che frequentano i social network, o per chi si fa un sito personale, o -come me- un blog.

Tu che stai leggendo sei - probabilmente - un navigatore abituale,  e quella definizione ti lascia abbastanza indifferente,  perché sai bene che in rete,  per esserci,  bisogna in qualche modo esporsi.


Vorrei però spiegarti due pensieri che non riesco a tacere.


Esibizionismo sarebbe una specie di infamia che commette chi abbandona il pudore (“Spudorato !”  sarebbe l'insulto).  Il concetto nasce in un contesto “sessuale”, e quindi appare particolarmente disdicevole

Secondo me, che ci sia una componente sessuale in ogni aspetto della nostra vita, non è una gran scoperta.  Come scoprire che c'è acqua in ogni essere vivente... è ovvio: siamo nati lì... Nella nostra breve parabola di nascere e morire, l'atto sessuale è senz'atro essenziale, e guai se non permeasse la nostra effimera esistenza:  sarebbe letteralmente la fine della specie.

Quindi, con tutto rispetto, Freud ha scoperto l'acqua calda, ma ha comunque il grande merito di averci stanati nei nostri assurdi tabù sull'argomento.  Senza peraltro ottenere una vittoria completa, visto che i tabù permangono.

Così, è probabile una componente erotica nel pubblicare sul web, cioè nel “farsi vedere” da sconosciuti.  Le piume un pavone le allarga per rimorchiare, mica per farsi fare una foto... Se poi da un post nascesse una relazione, lo decide il destino, mica noi...

Trovate la cosa particolarmente disdicevole ? Uno dovrebbe andare in clausura per evitare di creare occasioni di peccato ?

Una volta si andava in piazza, o in chiesa la domenica: era lì l'esposizione: come eri vestito, cosa dicevi, come ti muovevi, era sotto gli occhi di tutti.  La scuola è un importante momento di visibilità pubblica, dove -cioè- non scegli tu chi ti guarda.  Oggi resta solo il lavoro, ed è stupefacente il numero di relazioni (intendo dire sessuali) che si creano in quell'ambiente: Clinton è stato solo la punta dell'iceberg.


Credo che sia troppo poco.


Facciamo una vita che ci segrega,  per questo abbiamo bisogno di un po' di esposizione, dove questo è consentito.  Che ci resti solo il web e la discoteca è abbastanza triste... soprattutto per chi -come me- in discoteca non ci va.


Ma c'è un'altra riflessione, relativa al pudore.  Concetto che potremmo declinare in “riservatezza”, e “privacy”,  cioè:  lasciare che le cose intime restino nascoste

Ce l'hanno venduta come un diritto, ed anche importante, ma -secondo me- sono ben altri i diritti da difendere

E la pubblica esposizione su Web di pensieri e cose personali lo dimostrano in modo clamoroso. Ma aggiungerei (come mi ha fatto capire un post di Roberto Venturini) anche il telefonino. Come non notare che la gente non ha nessun problema a parlare al telefono in pubblico ?  Alla gente “normale” non crea gran problema che sconosciuti ascoltino quello che dicono al telefono.  Casomai dà fastidio a chi ascolta, perchè lo distrae.

Ma chi l'ha detto che la privacy va difesa ? Ve lo dico io: quelli che hanno cose da nascondere, e -per fortuna- sono pochi, ma -per sfortuna- potenti.