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martedì 11 novembre 2008

Echi

Non capita spesso di notarlo, perchè viviamo in ambienti rumorosi, però l'eco della nostra voce arriva sempre, e non solo nelle autorimesse sotterranee deserte.

L'eco è come lo specchio per l'occhio. La voce che senti è la tua, l'immagine che vedi è la tua.

L'eco arriva un po' in ritardo, ma lo stesso sarebbe anche per l'immagine riflessa, solo che la luce è molto più veloce, e non si nota. Quando abbiamo sentito in diretta gli astronauti che giravano attorno alla luna (chi ha la mia età), ci dicevano che li sentivamo in ritardo, per via del tempo di andata e ritorno delle onde radio.

Così quello che senti con l'eco, è il suono che c'è stato, e quello che vedi allo specchio è quello che era.


Ma se la riflessione del suono, o dell'immagine, determinano una sfasatura del tempo (il ritardo), rispetto al momento in cui l'evento si è determinato, cosa si può dire della riflessione del tempo ? Che effetti ha ?


Ma, prima di tutto, c'è qualcosa di simile allo specchio,  per il tempo ?


Sarebbe una cosa che ti riporta ad un tempo diverso dall'attuale. Il tempo sarebbe il tuo, ma più precisamente una sua copia, più o meno nitida.

Non è la macchina del tempo, perché quella è stata immaginata per far vivere in un tempo diverso, mentre uno specchio dà solo un'immagine: se vedi uno che fa le smorfie, sei tu che le stai facendo, ed adesso (o meglio, poco fa).   Se senti “Uilalala iu”, sei tu che lo hai appena fatto, non è la roccia della montagna lì davanti.  Non puoi entrare nello specchio per baciare la donna che vedi riflessa, devi rivolgerti a quella vera.

Così lo specchio del tempo altro non è che una rievocazione, dentro la quale non c'è alcuna possibilità di azione.   Come lo specchio ti da la sensazione di presenza di qualcosa che si trova altrove, lo specchio del tempo ti da la sensazione dello scorrere del tempo, ma in modo simulato.

Un romanzo, un film, se ben preparati, producono questo effetto; se sono un romanzo storico, o un documentario, la verosimiglianza aumenta; un'intervista, una telecronaca, ancora di più;  la moviola è il massimo.

Di questi “specchi” si fa un uso massiccio, e non sempre ci viene detto che sono specchi. Come nei labirinti del luna park, restiamo disorientati, e fatichiamo a trovare l'uscita.

Anche se l'immagine non è la nostra, ci immedesimiamo. Qualche giorno fa Paola,  mia figlia, aveva visto a lungo un film e mi ha detto: “Sai papy, che io ci posso entrare nel film ?”. Intendeva dire che si era accorta di partecipare talmente intensamente, che le pareva di essere “dentro”.  La comunicazione pubblicitaria usa questa capacità di immedesimazione, uno specchio deformante, che ti fa credere di essere dove non sei, e desiderare quello che vogliono venderti.


Ma torniamo agli specchi classici: c'è un effetto particolare, che riguarda la simmetria. Allo specchio, quello che era a destra, lo vedi a sinistra, e viceversa. Detto così però è abbastanza impreciso, perché se vi mettete distesi, allora quello che è sopra, diventa sotto. Cioè, le cose si invertono rispetto ai due occhi che guardano.

Cioè, oltre alla riflessione, abbiamo anche una inversione, rispetto al piano di simmetria dei nostri occhi.  Inversione molto particolare, perchè -ad esempio- è diversa da quella del cannochiale, che capovolge, oltre ad invertire destra e sinistra.


E con l'eco ?

La sensazione di destra e sinistra con l'udito è meno dettagliata, ma pure c'è, ed ormai se non è stereofonica, la musica la sentiamo piatta. Il suono riflesso dall'eco com'è ? Si inverte ?

Se qualcuno lo sa, mi fa un piacere se me lo dice...


Ma torniamo al tempo: esistono “difetti” di “riproduzione” di tipo sistematico ? Intendo dire, qualcosa di simile all'inversione simmetrica ?

Errori di percezione subdoli, dei quali ti accorgi solo con l'osservazione attenta, e inevitabili, perché strettamente legati alla tecnica di riproduzione.


Io credo di sì, ed ho qualche idea, ma se avete delle altre idee voi, fatemele sapere.


Ed è il fatto che non sei tu “dentro” al tempo, ma ne sei osservatore.   Se ci pensate, per l'inversione simmetrica non occorre lo specchio.  Se al dentista spieghi che ti fa male il dente “a destra”, lui sa che lo vedrà alla sua sinistra.   E' esemplare la storiella di quella studentessa all'esame di anatomia, che rispondendo alla domanda sulla posizione dell'appendice, disse che era a sinistra.   Accortasi dell'espressione di disappunto del professore, che avrebbe preferito promuoverla, si affrettò a precisare: “a sinistra, entrando”.


L'inversione simmetrica è legata allo scambio di ruolo tra osservato ed osservatore:  l'io, quando diventa visto, si inverte, anche se sono ancora io ad osservarmi.


Cosa cambia, tra essere nel tempo, e osservarlo ?

Innanzitutto la possibilità di azione


Alle volte racconto delle storie a Paola;  nei momenti più drammatici lei interviene e dice “E allora vengo io che la salvo”, o qualcosa di simile.

Alle volte lo specchio è talmente verosimile che verrebbe la voglia di attraversarlo.. purtroppo non si può... è solo uno specchio...


O, per essere più precisi, non è che la tua possibilità di azione, scompaia, è solo confinata localmente, e se raggiunge la rappresentazione riflessa, è solo perché -prima- ha agito sull'unica versione “vera”, quella qui e ora.


Forse ricordate quei documentari, sulla manipolazione di materiali fortemente radioattivi: l'operatore muove delle pinze, ed il movimento viene riprodotto aldilà di un pesante vetro al piombo, per manipolare dei sinistri bussolotti. Oggi al tempo di second life, ci sono guanti ed altre attrezzature per controllare il movimento dell'avatar.


Ma è possibile, agendo nel qui e ora, produrre un effetto (anche ritardato, anche invertito) sull'immagine riflessa del tempo ?


Verrebbe da dire definitivamente no.


Però sono in vena di provocazioni, e vi ricordo che l'immagine riflessa non è necessariamente la rappresentazione dell'originale: ci sono inversioni, distorsioni, ritardi. Se penso a come viene “letto” un fatto storico, a come questa lettura cambia nel tempo, non credo si stia sempre falsificando i fatti. Credo solo che si mette molto che riguarda esclusivamente l'osservatore, cioè il qui ed ora, ma soprattutto, che è impossibile non metterci nulla dell'osservatore....


Cos'è la riflessione dello specchio, senza il suo uomo che la sta guardando ? Così, tutta la produzione di storie (televisive, scritte, radiofoniche) esistono perchè c'è qualcuno che fa da spettatore.

Quest'uomo non lo sa, ma è proprio lui che determina l'esistenza di tutto quel circo attorno a lui. Non sa che probabilmente ha un potere decisivo... tutto sta riconoscere e rivelare le deformazioni, stanare il falso... also... also.

venerdì 7 novembre 2008

Perdere

Che bello vedere Obama e Mc Cain riconoscersi l'onore delle armi: “Sei stato il mio avversario, adesso sei il mio presidente”


Fair play


Non è un caso se è così difficile tradurre questo termine. Noi siamo quelli che spargevano il sale sulle rovine di Cartagine, ed il nemico catturato fuggitivo lo abbiamo impiccato a testa in giù.


Vincere e perdere sono per noi sempre pieni di rancore, e mi sono chiesto come mai nella cultura americana sembra essere così diverso.

Vien da dire che Mc Cain, con l'esperienza del Vietnam alle spalle, sa che la sconfitta è meglio riconoscerla rapidamente, ma è un ragionamento troppo semplicistico.


Perdere è qualcosa difficilmente slegabile dall' “adesso”. Intendo dire, che se sono certo che perderò, in pratica ho perso già adesso. Se avevo perso una cosa, e poi l'ho ritrovata, è inesatto dire che l'ho persa. Perdere si riferisce ad ora; la sofferenza e la rabbia della perdita sono “adesso”.


Tutto cambia se vediamo le cose in un arco di tempo più lungo. “bisogna saper perdere” diceva una canzone di Caterina Caselli, e poi completava “non sempre si può vincere”: cioè “hai vinto che basta, ora accetta anche un po' di sconfitta”.


Il fairplay che viene insegnato ai ragazzi sportivi significa “in questa partita puoi vincere o perdere, ma il bello è giocare, il campionato è lungo e ci sono molte possibilità”. Le regole del gioco sono poi un ingrediente essenziale: devono garantire la possibilità di avvicendamento tra sconfitto e vincitore. Nessun vincitore, sapendo che prima o poi perderà, ha interesse a sovrastare l'avversario.


Mi vengono in mente quegli animali che lottano, e chi soccombe si getta a terra mostrando la vena giugulare come per dire: “Ormai sei in condizione di uccidermi, pensaci bene se ti conviene”.  La diluizione nella dimensione tempo serve a smorzare l'eccitazione del momento.


Poi, nel caso della lotta per la presidenza USA, la chiave del fair play è stato, secondo me, lo spostamento di “campo”: dalla partita tra loro due, sono passati alla partita tra gli USA ed il resto del mondo: “Da noi nulla è impossibile”, come per dire: “Voglio vedere chi è capace di fare come noi, siamo i migliori”... in quella sfida, se vincono, vincono tutti gli americani.


E chi ci perde ? Beh, che la Casa bianca, sia un po' meno bianca, io credo non ci perda nessuno, e spero che nessuna multinazionale di detersivi venga a proporci il candeggio.

martedì 21 ottobre 2008

Confusione

Credo che capiti a chi non è più giovane, come me.   Di avere presente il passato come fosse ora.

Così capita di parlare, con il pensiero, a chi non c'è più, e da un pezzo.

Ieri per radio rievocavano Rinbaud, quando diceva: “io è un'altro”.   Non so bene cosa intendesse, ma mi sento assolutamente d'accordo con lui.    Quando parlo con chi non c'è più,  non sono quello che disbriga le cose quotidiane,  che si afferma (o almeno ci prova),  che prende le decisoni (o almeno crede).

Lui, quello lì, sono io, Roberto (mi conoscete con quel nome).

Ma c'è una grossa differenza con quello che -per un attimo- è fuori del tempo, e si emoziona guardando una vecchia foto, e parla alle persone fissate sulla carta dal nitrato d'argento.

Quale differenza ? (...ora sono obbligato a rispondere ...)  direi la posizione rispetto al mio solito  amico,  il tempo...

Il primo, io, il Roberto piantato sull'adesso, quando parla con i suoi avi, se non pazzo, è almeno un romantico stravagante.   Perchè ?    Beh,  perchè quelli non esistono...   La sua è una perdita di tempo.   Un trastullarsi da perdigiorno.   Pregar Dio che non ci mettiamo tutti a seguire il suo esempio.

Ma se il tempo lo sposti, da unico luogo dell'essere, ad una dimensione, e neppure la più importante, allora spuntano i significati che resistono al tempo (incorrutibili?).

Che poi sono gli stessi che spuntano quando sognamo (incomprensibili?).

Intendo dire, che quello che si dice in un sogno, o ad una foto, non è dettato dall'urgenza, o dalla necessità,  o dalla convenienza.   In quelle situazioni non si mente.

Mi sembra di essere arrivato a dire una cosa ovvia:  sappiamo bene che i valori attuali (successo, benessere, evasione) sono ben diversi da quelli tradizionali (rispetto, solidarietà, accoglienza), e che oggi i valori tradizionali risultano spesso incomprensibili.    E che i valori tradizionali mantengono la loro validità, non perchè trovano delle giustificazioni,  ma perchè inataccabili essendo fuori del tempo.

A me sembra che non abbiamo vocaboli adatti a distinguere bene le cose, e da qui credo derivi buona parte della confusione.   Fatto sta, che star piantati sul breve, e dimenticare il passato sembra essere di moda, ed è estremamente difficile convincerci che -viceversa- il passato attiene all'adesso non meno della radice al frutto.

Questa consapevolezza credo rivaluterebbe (nel senso che darebbe maggior valore)  le azioni di oggi, non per l'effetto sull'immediato, ma per la loro azione nei tempi successivi.   Qualcosa di simile alla preoccupazione degli antichi, di costruire monumenti di granito, affinchè resistessero al tempo che passa.

Che sia esaurito il granito ?   Nessuno sembra pensarci molto al futuro...  preferiamo una politica dissipativa:   smantelliamo Chioto, e rifiutiamo di emozionarci per cose che si collocano in tempi diversi dall'attuale.    O almeno così pensa chi ci governa.    Che poi li abbiamo delegati noi, quindi così pensiamo noi.    Quello che penso io, nel gran macinino della democrazia, scompare.

venerdì 17 ottobre 2008

Carità di Stato

La soddisfazione del capo del governo, per la caduta del “tabù” degli aiuti di Stato alle aziende, ci dovrebbe far saltare in piedi dalla sedia.

Non vi siete accorti che ci stanno sfilando di tasca il portafoglio ?
Sorridendo, come i ladri di professione

Nella solidarietà, chi vuole essere generoso, lo fa per sua scelta, ma se i quattrini gli vengono tolti dalla sua tasca a sua insaputa, si chiama furto.
Anche se chi glieli toglie, volesse darli tutti in beneficienza, si chiama ancora furto ...

I soldi che Berlusconi (ed i suoi compari) vogliono dare alle banche, non sono i suoi: non avrei nulla in contrario se fossero i suoi, ma non è questo che intendono fare.

Si confonde la solidarietà con il furto.

Si dice che, con questa operazione, si vogliono difendere i piccoli risparmiatori.
Accidenti che buon cuore, ma perchè i piccoli pensionati no ? I piccoli disoccupati no ? Quelli che sono piccoli, ma non sono risparmiatori, perchè i soldi li hanno già spesi tutti, loro non li aiutiamo ?
Viene il dubbio, piuttosto, che siano interessati a quelli grandi, di risparmiatori ...

Aiutare chi è in difficoltà è un grande segno di civiltà. Pensiamo a tutte le iniziative di previdenza che nei secoli sono state perfezionate, e che sono il vanto degli Stati moderni: la pensione d'anzianità, l'assistenza sanitaria, l'assicurazione infortuni, ma anche le assicurazioni private. Sono tutti istituti che -come principio di base- prevedono una raccolta di danaro, la costituzione di un fondo, che poi viene amministrato, ed infine usato per favorire i più sfortunati.
Funzionano come ammortizzatori: chi versa la quota sa che potrebbe essere lui a beneficiarne. Non dico che lo faccia volentieri, ma se ne da una ragione.

Non avrei nulla in contrario che gli istituti di credito costituiscano un fondo di questo tipo, per aiutare quelli che si sono fatti “fregare”, ma credo che nessun istituto di credito vorrà mai dare dei soldi per favorire un'altro istituto, perchè sa che quello ha tentato di “fare il furbo”.
Sapevano i rischi... sono stati spregiudicati per battere la concorrenza, offrendo ai clienti tassi fuori mercato, e tenersi più margine...non erano mica ignoranti quelli che hanno deciso queste operazioni.

E allora, dovremmo tirarli fuori noi questi quattrini ? Siamo proprio i più stupidi di tutti ?

Potrei anche essere daccordo di considerare questa una situazione di emergenza, per cui bisogna chiudere un occhio. Io li chiudo anche tutti e due, se lo Stato ha liquidità.... ma voglio esagerare, sono disposto anche a fare un versamento straordinario, una una-tantum... però poi quei soldi li voglio restituiti, e con gli interessi. Per caso a voi risulta che gli istituti di credito regaliano i quattrini ? O piuttosto se li fanno restituire, e chiedono anche un tasso di interesse ? Qualcuno ha mai suggerito che, qualche volta, in situazione di emergenza, li dovrebbero regalare?

Allora perchè dovremmo farlo noi ?

Se l'aiuto che chiedono serve per superare una brutta congiuntura, ma poi si impegnano a lavorare come si deve, io i soldi miei glieli do, ma -quanto meno- vorrei vedere qualche loro manager dimettersi, chiedere scusa, mettere sul tavolo tutti i quattrini che si è preso fino ad oggi, ed andare a fare un diverso mestiere. Che so, l'operatore ecologico. Non gli farà mica schifo ? Il saldatore no, perchè non sarebbero capaci.
Ma che nessuno venga fouri decantando meriti che evidentemente non hanno.

Ma un minimo di giustiza, non possiamo proprio permettercela ?
Ma a voi, non viene voglia di ribellarvi ?
Proprio a nessuno ?

No, No e No, a queste condizioni non siamo d'accordo sugli aiuti di Stato !

E poi diciamola anche tutta, gli aiuti di Stato decisi da quei signori lì, ci convincono ancora meno: mi spiace, ma sono troppo ricchi per dire a noi di essere generosi.

domenica 12 ottobre 2008

Alzati e cammina


Metti che bastava solo dirglielo, e nessuno ci pensava. Metti che non aspettava altro, ma tutti invece preferivano piangerlo morto.


Non gli ha detto: “Guardami”, o “Parlami” ... nulla che fosse rivolto a sé stesso.


Perchè ?


Alzarsi è un prerequisito del camminare, quindi l'oggetto vero della richiesta era proprio muoversi.


Il bello è che non gli ha detto per andare dove.


Ma come, uno è praticamente morto, lo rianimi in un modo spettacolare, e non gli dai nessuna indicazione su cosa fare adesso ? Non lo trovate strano ?




Camminare.




Seguire in modo attivo una traiettoria su questa Terra.




Adesso sei qui, tra un po' non sarai più qui, ma sarai ugualmente, in un'altro posto.




Ci sei andato, o ti ci sei ritrovato ? Anche quando vai volontariamente in un posto, poi non sai mai veramete cosa ci troverai. Anche quando vai a caso, poi ti ritrovi in posti che avevi sempre immaginato, che ti accolgono come si accoglie uno che manca da tanto tempo.




Una volta andavo a passeggio con mia figlia, piccina, sulla spiaggia. Lo scopo era la camminata. Dopo un po' mi chiese: “Dove stiamo andando ?” ed io le risposi: “A zonzo”. Lei sembrò soddisfatta, e continuò a trotterellare al mio fianco. Dopo un po' mi chiese ancora: “Ma quando arriviamo ?” “Dove, tesoro ?” “A Zonzo”.




Un figlio si aspetta che il padre sappia dove sta andando. A noi è assegnato di andare, nessuno è tenuto a dirci dove.




Che sia quello che mangiamo ? Non so la causa, però evidentemente la nostra mente è offuscata. Di questo percorso che stiamo facendo, del modo in cui lo stiamo facendo, parlo prima di tutto per me, non abbiamo consapevolezza.




Eppure tutte le mattine, è questo l'inizio: alzati, cammina.

sabato 11 ottobre 2008

Aspettare

Quando si aspetta, c'è qualcosa che si consuma: l'olio della lucerna, la candela, il tempo. Si consuma nel senso che dopo non c'è più.

E dov'è andato ?

L'olio della lucerna e la paraffina della candela sono bruciate, hanno reagito con l'ossigeno dell'aria, ed ora sono molecolarmente disperse, ma sono ancora qui vicine a noi, ne sentiamo ancora l'odore.    Ma il tempo, dove è andato ?

Non essendo minimamente in grado di dire dove possa essere scomparso, comincia a sorgermi il dubbio che ci fosse veramente anche prima....


Cos'è il tempo futuro, prima che accada ?


Ricordo che da piccolo mi chiedevo come sarei stato quando fossi diventato adulto. Cosa mai avrei fatto -diciamo- a cinquant'anni ?    Mi sforzavo di immaginarlo,  perchè mi sarebbe un sacco piaciuto poter fare subito quelle cose,  senza dover aspettare tanti anni.   L'impresa però non era facile... facevo il conto: “se adesso ho 8 anni e siamo nel 1962, quando ne avrò 50 saremo nel ...” e cominciavo a dubitare che in quel tempo così lontano si sarebbero fatte le stesse cose che -ad esempio- stava facendo in quel momento mio padre.


Dubbio fondato solo in minima parte... lo sforzo però era definitivamente inutile, per il fatto che quel tempo futuro -semplicemente- non c'era...  in quel momento non esisteva per nulla.


Ecco perchè quando si consuma, il tempo scompare del tutto: non c'era mai stato neanche prima !

Bene, ma se prima e dopo non esiste, com'è la situazione del tempo di adesso ?


Beh, l'adesso è simpaticamente presente, ci sollazza di sensazioni svariate...   diciamo che si fa sentire, eccome.   Anzi, forse proprio perchè è così concentrato, che sentiamo come il bisogno di diluirlo,  mettendoci ad aspettare cose future,  o trastullandoci nel ricordo di quelle passate.   In altre parole, mescoliamo cose inesistenti, con quelle reali, come per stemperare col latte una cioccolata troppo carica.


Già, perchè se uno non è abituato, può essere in difficoltà ad affrontare il tempo attuale.   Ci vorrebbe del training, un coach.   Noi i nostri figli li mandiamo allo sbaraglio: capiranno da soli come si fa... anche perchè -veramente- non è che abbiamo capito tanto neppure noi...


In questo momento sono in treno, e fuori è calata la nebbia.   Attorno a me innumerevoli esistenze si svolgono, secondo un loro percorso a me (ed agli interessati) sconosciuto.   Vedo persone che si stanno incamminando verso le loro occupazioni. Uno dice “sono occupato”, ma non è mica lui ad essere occupato, è il suo tempo, è il suo tempo che viene occupato, e non è più disponibile per altre cose...


Dice “se fossi disoccupato, non prenderei lo stipendio”

Uno che non è occupato, mi vien da dire, è libero...   Evidentemente la libertà ha un costo, questo è ragionevole.   Ma metti che uno non ha problemi economici, che so, uno a caso, Berlusconi, cosa se ne fa della libertà che si può comperare in grande quantità ? La perde subito, occupando il suo tempo con una serie di attività, anche più fitte delle nostre.


Allora mi viene da dire che il tempo è come un avvallamento: per quanto lo liberi, tende sempre riempirsi di roba.    Bisognerebbe mettere un cartello “Divieto di scarico immondizie”, o qualcosa di simile, che so, recintarlo, sorvegliarlo.   Oppure stiparlo in modo consapevole: “Parcheggio completo, andate da un'altra parte”, che è quello che fanno i benestanti.


Ed ecco quindi una connessione a sorpresa, tra la ricchezza ed il tempo.    Il concetto di classe sociale, trasformato nel concetto di chi presta il proprio tempo, e chi non si accontenta del suo, ed usa anche il tempo degli altri.


Il tempo, però, alla nascita, è stato dato a ciscun individuo, come lo stomaco, il naso, e gli altri accessori.   Uno nasce che ha tutto questo bel corredo, e non è bello che uno dica: “Voglio che mi dai il tuo rene”, oppure: “Devi darmi un terzo del tuo tempo” (che poi sono le classiche 8 ore) “e voglio proprio quelle quando sei sveglio” (quelle quando dormi puoi anche tenertele).

No, non è carino...


Il punto, forse, è che capita che uno non le usi tutte le sue belle dotazioni: “Dallo a me il tuo tempo, che tanto tu non sai cosa fartene”.    In tanti casi è difficile dargli torto... anche a me da fastidio vedere uno che sta lì, ad aspettare.


E voi, cosa aspettate a replicare ?

sabato 4 ottobre 2008

Dietro l'etichetta

Un mio amico recentemente ha seguito un progetto, per l'applicazione di un certo tipo di etichette adesive sui prodotti della sua azienda.    Il lavoro si era protratto più di un anno, a causa di una serie di difficoltà.   Quando finalmente arrivò alla conclusione, la sua soddisfazione fu così grande, che volle farne partecipe la moglie: “Sai cara, abbiamo finalmente le etichette”.

Lei ovvimente lo guardò come si guarda un cretino.


Quando questo mio amico mi ha raccontato l'episodio, ha concluso: “Perchè lei non sapeva cosa c'era dietro quelle etichette”.


Ora io me lo chiedo ora, pubblicamente, questa cosa qui: cosa c'è veramente dietro l'etichetta ?


Beh, comiciamo col dire che c'è qualcosa di appiccicoso, che se fosse poco appicicoso, l'etichetta non varrebbe niente. Ecco che una caratteristica negativa (“Che schifo, è tutto appiccicoso”), in questo contesto diventa una caratteristica positiva, anzi indispensabile (salvo quando poi l'etichetta vorremmo rimuoverla).

Che poi però non è l'appiccicoso che è importante, ma quello che c'è scritto sopra l'etichetta;   in altre parole, se potessimo scrivere sopra l'oggetto, senza l'etichetta, sarebbe immensamente meglio.   Quindi l'appiccicoso è solo un artificio per trasferire qualcosa che ho scritto nel posto sbagliato, sul posto dove invece volevo scriverlo veramente.   Difatti, poi, l'appiccicoso si deve nascondere completamente, testimoniando così che conserva la sua caratteristica negativa, sebbene noi lo abbiamo sfruttato, lusingandolo dicedo che “attacca perfettamente”.

Talvolta si fa così -mi sembra- anche con le persone.


Ma torniamo a quello che c'è dietro un'etichetta.   Ricordo un concorso a premi, credo della CocaCola, che prevedeva una scritta dietro l'etichetta: quando la bottiglia è piena, il liquido non consente di leggere il retro dell'etichetta, ma appena l'hai svuotata, puoi leggere se hai vinto, o se devi ritentare scolandoti un'altra bottiglia. 

Era una formulazione diversa del concorso che si basava sulla scritta posta dietro la guarnizione del tappo a corona di certe bibite, fatto tanti anni prima.. qualcuno lo ricorda ?   Se trovavi il jolly avevi vinto, se era un'altra carta da gioco, potevi comunque collezionare il tappo per farti una partitina a poker (mai visto nessuno farla, ma l'idea era interessante).


Bene, ecco sfruttato anche il retro dell'etichetta, ma - e questo è il punto che volevo sottolineare - per qualcosa che deve rimanere nascosto, segreto fino alla fine, e che poi sarà una sorpresa.


Beh, logico:  il retro non sta mica davanti...  mica ti guarda in faccia...   Per me, quello che sta dietro un'etichetta, è come una grotta:   non puoi sapere esattamente cosa c'è dentro, e non è detto che sia piacevole.   Infatti, i più lasciano perdere...

Vi ricordate la storia dei francobolli che nella colla avevano l'LSD ?   Non so se è una leggenda metropolitana, falsa come tante altre, ma questo non è importante.   L'idea che ci fosse qualcosa di diabolico, proprio sul retro, dove si lecca, non è per nulla strana.    E la diabolicità sta nel fatto che il retro ti può corrompere, senza che tu te ne accorga, ma solo se lo affronti aprendoti ad esso, offrendogli in tuo interno, qui rappresentato dagli umori della tua lingua, che subito dopo inghiottirai, incorporandoli:   eri una brava persona, finchè il tuo interiore non ha incontrato il retro del francobollo, che ti ha trasformato in vizioso....

Poi viene in mente l'etichetta intesa come “buone maniere”.   Qualcuno sa mica perchè si chiamano così ?

A parte l'origine del nome, che cosa ci sta dietro quel tipo di etichetta ?    Mi vien da dire soprattutto rispetto: quando qualcuno usa con me le buone maniere, io ne sono lusingato.

Però, il rispetto richiede per forza le buone maniere?    Non si può avere rispetto di una persona, e non seguire le regole dell'etichetta ? Certamente sì, e -anzi- quel tipo di comportamento è particolarmente apprezzato, perchè sembra più "vero". Per cui, se senza l'etichetta è più vero, vuol dire che l'etichetta nasconde qualcosa di un po' "falso"

“Chi legge cartello, non mangia vitello” recitava una delle massime di mio padre. Mio padre aveva spesso delle massime abbastanza oscure per me, e devo dire che molte di queste le ho capite (o almeno credo) solo recentemente. Un'altra volta vi farò degli esempi interessanti.


Ma torniamo al vitello: credo che la massima volesse dire che se ti fidi della scritta, perchè non sai riconoscere la qualità della carne, magari ti vendono come vitello un'altro taglio, certamente meno pregiato (all'epoca le norme sulla tracciabilità non esistevano). 

Così l'etichetta ha lo scopo di rendere più accattivante il prodotto: in altre parole, senza l'etichetta il prodotto si rivelerebbe per quello che è, e questo evidentemente non va bene. Provate ad immaginare al supermercato, tutti i prodotti con un'etichetta standard, con le caratteristiche merceologiche del prodotto, i riferimenti del produttore, ed il codice a barre per la cassa.   Magari tutti in un'unico packaging.

Un'idea che sa da comunismo, vero ?   Peccato,  perchè così viene subito squalificata.   Oggi, un'idea simile non può neppure scendere in campo... Ma siamo veramente convinti che com'è adesso va meglio ?


Vorrei finire con un pensiero a quel capitolo di “Cent'anni di solitudine”,  quando tutte le persone del paese cominciarono a perdere la memoria,  a causa di una pioggia particolarmente insistente,  che sembrava non smettere mai.    E allora cominciarono a mettere dei bigliettini sui vari oggetti, per ricordarsi come si chiamavano.    Così la sedia aveva un bigliettino con su scritto: “sedia”.    Ma presto anche questo risultò insuffiente,  perchè avevano dimenticato cos'era una sedia,  e allora aggiungevano “serve per sedersi”

Dietro l'etichetta stanno le cose vere. L'etichetta serve alla nostra mente, quando le cose vere le abbiamo un po' perse di vista.

Mi viene da dire che sarebbe meglio andarci più spesso, dietro l'etichetta.    Potremmo scoprire cose belle, o forse anhe cose brutte,  ma certamente più cose di ora.


Buona esplorazione a tutti.

mercoledì 17 settembre 2008

Tanto

Io la mattina mi rado con un rasoio elettrico, che poi svuoto di quella polverina che resta dalla tritatura fatta dalle lame.  Sul bianco del lavandino si vede bene, ed io mi affretto a sciaquare, ma ugualmente non posso fare a meno di notare che, anno dopo anno, quella polverina è sempre un po' più chiara.


Sono gli anni che passano.


Che il tempo passi, che non torni indietro, eccetera eccetera, non c'è più niente da dire, ma l'altro giorno mi sono chiesto quanto sia effettivamente, questo benedetto tempo che se ne va. 

Stavo aspettando un taxi, e quando sei in ritardo, un minuto dura moltissimo, ma alla fine, mi chiedevo, il tempo benedetto che abbiamo a disposizione, è tanto o poco ?


Faccio un esempio: quando fumavo, ricordo che impiegavo circa 7 minuti a finire la sigaretta. Quindi in -che so- 80 anni, contando -che so- 1 ora al giorno (8-9 cicche), magari cominciando da 15 anni, viene fuori (80-15)x365x1x60 / 7 = 203.357 sigarette.


Uno dice: “embè ?”


Io dico che è un numero straordinarimente alto.


Da piccolo, dormivo in camera con mio fratello, e capitava che non avessimo sonno (all'epoca si andava a letto all'ora prevista, anche se non c'era sonno), e allora si parlava. Ci inventammo un modo per ingannare il tempo, e cioè contare: uno, due, tre, e così via. Facevamo a turno, perchè è un po' faticoso: dove finiva uno, riprendeva l'altro. Quando poi eravamo stanchi, ci mettevamo a dormire, ma la sera dopo riprendevamo dal punto in cui eravamo arrivati.  Era come fare un nuovo record.  Questo giocò durò alcuni giorni, fino a quando l'incremento che riuscivamo a dare al numeratore, era troppo piccolo, e il conteggio non ci dava più la sensazione di “conquista” che avevamo provato all'inizio.


Direte: “Avevate mica nient'altro da fare ?”. In effetti era proprio così, ma non è questo il punto: la cosa significativa, è che non arrivammo neppure a 2.000.

A no ? Provate voi ! Fino a cento si va che si vola, poi più vai avanti, più ti accorgi che i tuoi passi fanno sempre meno strada. Ve lo dico io, neanche voi ci arrivereste a 2.000: è tanto, tanto, troppo !


Ora, se 2.000 è un bel numero, 203.357 è un numero straenormicissimo.


Questo per dire, che se fossimo venuti al mondo per fumare le sigarette, il tempo che abbiamo a disposizione è veramente tantissimo, ne basterebbe enormemente meno !

Ma ovviamente (mi spiace per Malboro), non siamo a questo mondo solo per fumare (ammesso che qualcuno di voi sappia perchè siamo a questo mondo), però il discorso non cambia molto.

Qualsiasi cosa ci mettiate nella vostra vita (scivere un libro, diventare ricco, colivare patate), il tempo a disposizione è molto molto molto di più di quello che sarebbe strettamente necessario. E' che non ci organizziamo, non abbiamo le idee chiare, cincischiamo, brancoliamo, andiamo per tentativi.

La Natura d'altronde esagera sempre un po'.  Quando fa le cose, non va al risparmio. Ci bastava un ruscello in ogni paese, ed ecco gli oceani d'acqua... Avete mai notato un albero fiorito ? Sembra che da solo debba popolare una foresta !   A che servono tutti quei semi che produce ?  


Si vede che sa che il resto del processo ha una efficienza bassetta. Dice: "gli do tanto tanto tempo, chissà che qualcosina di buono ne venga fuori..."

E difatti finisce che occupiamo questo tempo con un sacco di attività, che certamente non rientrano nell'elenco delle cose che potrebbero essere una motivazione ragionevole per stare al mondo, e di cose buone... pochette.


Ma allora perchè la vita sembra così breve ?


Non ho una risposta, ma è come se fosse un effetto di prospettiva, come la luna che sembra più grande quando è vicina all'orizzonte, il tempo sembra più breve quando è passato. Ma la misura del tempo, direi, è quello che puoi farci dentro, ed è una misura esageratamente grande.


Adesso però smetto, perchè ho un sacco di robe da fare, ed ho poco tempo.

Ciao, a presto (presto ? presto=poco tempo... se non è subito, non è POCO tempo... è un SACCO di tempo... accidenti, ci sono cascato !)

venerdì 5 settembre 2008

Normale

L'altro giorno ho pranzato con un tale che mi ha raccontato del suo colesterolo, per nulla nella norma, ed era preoccupato.
Ricordo che a scuola, nell'ora di statistica, ci parlarono della distribuzione "Normale", che ha la forma come il cappello del Piccolo Principe: quasi tutti i valori sono vicini alla media, ma ce ne sono -pochi- che se ne allontanano.

Frange estreme

C'era anche una misura (si chiamava sigma), per cui dentro c'erano quasi tutti (che so, il 99,9%), e fuori pochissimi.

Domanda: quelli che stanno fuori, non sono "normali" ?

Certo, perdinci ! Se li togliessimo, la "normale" si restringerebbe, ma ci sarebbero ancora quelli che stanno più fuori degli altri 99,9% !
Anche le frange fanno parte della normalità, guai a toglierle !

Rivendico il diritto ad avere il colesterolo al di fuori del 99,9 % degli altri, ed essere considerato anch'io normale !

Mi direte, attento che per te la probabilità di patologie è maggiore che negli altri

vero

E' vero anche che la probabilità di contrarre la varicella è maggiore nell'età tra i 6 e 12 anni. Dovremmo per questo evitare di avere tra i 6 ed i 12 anni ?
Credo che sia normale correre questo rischio. I rischi si affrontano, non possiamo passare la vita ad evitare i rischi...

Parlo del colesterolo, ma potrei parlare di tanti altri indicatori. Chi fa fatica a portarli nella norma, dice: "Lo so, dovrei cambiare stile di vita, fare più attività fisica, vivere più sereno"

vero

Ma allora qual'è la causa della patologia: il colesterolo, o lo stile di vita ?
Perchè accanirci col clesterolo, se è lo stile di vita il problema ? Che senso ha -poi- usare farmaci contro il colesterolo, e mantenere lo stile di vita ?

Poi mi è venuto in mente, che in geometria, normale vuol dire perpendicolare.
Allora: tutti i punti sono ben allineati in una linea, bella, perfetta, che va all'infinito, ed ecco che arriva un punto che "incide normalmente"

Ma vi sembra normale ? Prorio non ha nulla di simile a tutti gli altri, tanto che li incontra in un solo punto: come dire "meno non si può".
Allora perchè la chiamano "normale" ?

Devo dire che non lo so (e se qualcuno mi togliesse questa curiosità, mi farebbe un piacere), però poi ho pensato ancora al cappello della distribuzione di Gauss, ed ho provato a stringerlo.
Prima diventa come il cappello delle streghe, alto e stretto, ma poi... poi... accidenti, guarda un po' cosa diventa: una normale incidente ...

Un pilastro piantato su uno spazio piatto, bello perpendicolare.

Beh, si sa che in geometria piace andare "al limite": che sia proprio una estremizzazione del concetto di distribuzione normale ?
Cioè, quando "tutti - tutti - tutti" sono omologati allo stesso modo.
Quello che piacerebbe a certa destra e certa sinistra

Comunque è chiaro che la geometria piace al pensiero razionale, e la nostra cività è figlia del pensiero razionale, così nulla di strano che alla nostra cività dispiaccia quello che esce dalla normalità.
Un pensiero forte (quello che ha ragione) e tutti gli altri sono pensieri sbagliati,
frange estreme da tagliare, fino ad arrivare alla normalità perfetta, non più individui ma cloni,
disadattati, da curare farmacologicamente.

Esagero, per il gusto del paradosso, ma qualcosa di vero mi pare che ci sia.
Daltronde, sul concetto di normalità credo cia sia molto da dire, ed in particolare sul concetto di normalità nella nostra civiltà.

Ma vi sembra normale quello che facciamo ?
Rischiare la vita tutti i giorni, in scatolette di latta sparate a gran velocità, in direzione opposta ad altre, ancora più massicce della nostra, che se per caso sbagliano un attimo direzione è un macello, come è successo pochi giorni fa sull'A4 ?
E' normale che il nostro sguardo focalizzi costantemente a 40 centimentri (testo scritto), quanche oretta a qualche metro (TV, auto), quasi mai all'infinito ?
E' normale che il nostro pensiero debba rincorrere le cose, che qualcun'altro ha deciso che bisogna fare, anche quando sono del tutto inutili ?
E' normale che ci facciamo sommergere dai nostri rifiuti ?
E' normale che ci governi un uomo ricchissimo ?

Beh, questo però, in effetti, è sempre successo. Un re lo immaginiamo pieno d'oro e pietre preziose, spesso di bassa statura, e neanche tanto bello: un re povero non lo ricordo proprio. Non sarebbe neanche dignitoso

Ed uno negro in america ?
Chissà... stiamo a vedere