Un mio amico recentemente ha seguito un progetto, per l'applicazione di un certo tipo di etichette adesive sui prodotti della sua azienda. Il lavoro si era protratto più di un anno, a causa di una serie di difficoltà. Quando finalmente arrivò alla conclusione, la sua soddisfazione fu così grande, che volle farne partecipe la moglie: “Sai cara, abbiamo finalmente le etichette”.
Lei ovvimente lo guardò come si guarda un cretino.
Quando questo mio amico mi ha raccontato l'episodio, ha concluso: “Perchè lei non sapeva cosa c'era dietro quelle etichette”.
Ora io me lo chiedo ora, pubblicamente, questa cosa qui: cosa c'è veramente dietro l'etichetta ?
Beh, comiciamo col dire che c'è qualcosa di appiccicoso, che se fosse poco appicicoso, l'etichetta non varrebbe niente. Ecco che una caratteristica negativa (“Che schifo, è tutto appiccicoso”), in questo contesto diventa una caratteristica positiva, anzi indispensabile (salvo quando poi l'etichetta vorremmo rimuoverla).
Che poi però non è l'appiccicoso che è importante, ma quello che c'è scritto sopra l'etichetta; in altre parole, se potessimo scrivere sopra l'oggetto, senza l'etichetta, sarebbe immensamente meglio. Quindi l'appiccicoso è solo un artificio per trasferire qualcosa che ho scritto nel posto sbagliato, sul posto dove invece volevo scriverlo veramente. Difatti, poi, l'appiccicoso si deve nascondere completamente, testimoniando così che conserva la sua caratteristica negativa, sebbene noi lo abbiamo sfruttato, lusingandolo dicedo che “attacca perfettamente”.
Talvolta si fa così -mi sembra- anche con le persone.
Ma torniamo a quello che c'è dietro un'etichetta. Ricordo un concorso a premi, credo della CocaCola, che prevedeva una scritta dietro l'etichetta: quando la bottiglia è piena, il liquido non consente di leggere il retro dell'etichetta, ma appena l'hai svuotata, puoi leggere se hai vinto, o se devi ritentare scolandoti un'altra bottiglia.
Era una formulazione diversa del concorso che si basava sulla scritta posta dietro la guarnizione del tappo a corona di certe bibite, fatto tanti anni prima.. qualcuno lo ricorda ? Se trovavi il jolly avevi vinto, se era un'altra carta da gioco, potevi comunque collezionare il tappo per farti una partitina a poker (mai visto nessuno farla, ma l'idea era interessante).
Bene, ecco sfruttato anche il retro dell'etichetta, ma - e questo è il punto che volevo sottolineare - per qualcosa che deve rimanere nascosto, segreto fino alla fine, e che poi sarà una sorpresa.
Beh, logico: il retro non sta mica davanti... mica ti guarda in faccia... Per me, quello che sta dietro un'etichetta, è come una grotta: non puoi sapere esattamente cosa c'è dentro, e non è detto che sia piacevole. Infatti, i più lasciano perdere...
Vi ricordate la storia dei francobolli che nella colla avevano l'LSD ? Non so se è una leggenda metropolitana, falsa come tante altre, ma questo non è importante. L'idea che ci fosse qualcosa di diabolico, proprio sul retro, dove si lecca, non è per nulla strana. E la diabolicità sta nel fatto che il retro ti può corrompere, senza che tu te ne accorga, ma solo se lo affronti aprendoti ad esso, offrendogli in tuo interno, qui rappresentato dagli umori della tua lingua, che subito dopo inghiottirai, incorporandoli: eri una brava persona, finchè il tuo interiore non ha incontrato il retro del francobollo, che ti ha trasformato in vizioso....
Poi viene in mente l'etichetta intesa come “buone maniere”. Qualcuno sa mica perchè si chiamano così ?
A parte l'origine del nome, che cosa ci sta dietro quel tipo di etichetta ? Mi vien da dire soprattutto rispetto: quando qualcuno usa con me le buone maniere, io ne sono lusingato.
Però, il rispetto richiede per forza le buone maniere? Non si può avere rispetto di una persona, e non seguire le regole dell'etichetta ? Certamente sì, e -anzi- quel tipo di comportamento è particolarmente apprezzato, perchè sembra più "vero". Per cui, se senza l'etichetta è più vero, vuol dire che l'etichetta nasconde qualcosa di un po' "falso".
“Chi legge cartello, non mangia vitello” recitava una delle massime di mio padre. Mio padre aveva spesso delle massime abbastanza oscure per me, e devo dire che molte di queste le ho capite (o almeno credo) solo recentemente. Un'altra volta vi farò degli esempi interessanti.
Ma torniamo al vitello: credo che la massima volesse dire che se ti fidi della scritta, perchè non sai riconoscere la qualità della carne, magari ti vendono come vitello un'altro taglio, certamente meno pregiato (all'epoca le norme sulla tracciabilità non esistevano).
Così l'etichetta ha lo scopo di rendere più accattivante il prodotto: in altre parole, senza l'etichetta il prodotto si rivelerebbe per quello che è, e questo evidentemente non va bene. Provate ad immaginare al supermercato, tutti i prodotti con un'etichetta standard, con le caratteristiche merceologiche del prodotto, i riferimenti del produttore, ed il codice a barre per la cassa. Magari tutti in un'unico packaging.
Un'idea che sa da comunismo, vero ? Peccato, perchè così viene subito squalificata. Oggi, un'idea simile non può neppure scendere in campo... Ma siamo veramente convinti che com'è adesso va meglio ?
Vorrei finire con un pensiero a quel capitolo di “Cent'anni di solitudine”, quando tutte le persone del paese cominciarono a perdere la memoria, a causa di una pioggia particolarmente insistente, che sembrava non smettere mai. E allora cominciarono a mettere dei bigliettini sui vari oggetti, per ricordarsi come si chiamavano. Così la sedia aveva un bigliettino con su scritto: “sedia”. Ma presto anche questo risultò insuffiente, perchè avevano dimenticato cos'era una sedia, e allora aggiungevano “serve per sedersi”.
Dietro l'etichetta stanno le cose vere. L'etichetta serve alla nostra mente, quando le cose vere le abbiamo un po' perse di vista.
Mi viene da dire che sarebbe meglio andarci più spesso, dietro l'etichetta. Potremmo scoprire cose belle, o forse anhe cose brutte, ma certamente più cose di ora.
Buona esplorazione a tutti.