Mi vedo il Creatore che prende l'argilla, la modella ... forse ci mette un po': non dev'essere una cosa che fa tutti i giorni; alla fine, voilà: "E l'uomo é fatto !".
Non cucina l'argilla nel forno: non occorre che l'uomo duri a lungo.
Con l'acqua è stato impastato, che l'acqua possa dissolverlo di nuovo.
La terra cotta sarebbe stata più resistente alle intemperie, ma più fragile: un urto un po' più forte del solito, e va in cocci, inutilizzabili.
L'uomo è rimasto plastico, si adatta. Fai forza e cede.
Alle scuole medie, avevamo un'insegnante di educazione artistica, che ci faceva lavorare con la creta, che prendevamo in una fossa fuori città, perché la mia città poggia, ad una certa profondità, su un letto di argilla. Ci faceva lavorare anche su opere grandi, dove bisognava lavorare in gruppo, e ognuno faceva qualcosa, e poi si metteva tutto assieme. Bastava premere, e due pezzi diventavano una cosa sola. Anche se poi, seccandosi, qualche volta si staccavano di nuovo...
Anche questo, forse, siamo noi: non è difficile fondersi, non è tanto facile restare attaccati.
Ma tornando alla terra, mi ha fatto venire in mente quando volevano lapidare l'adultera, ed i farisei andarono da Gesù per metterlo alla prova. E lui guardava per terra, e scriveva col dito nella polvere.
“Ho scritto t'amo sulla sabbia” diceva una vecchia canzone. Come dire: "tra un'ora forse sarà solo un ricordo".
Non c'è modo di sapere cosa stesse scrivendo Gesù, ma mi viene da confrontarlo con Mosè, che i dieci comandamenti li aveva scolpiti sulla pietra. C'era, in Mosè, l'illusione del “per sempre” che non sembra essere nei comportamenti di Gesù, né di suo Padre.
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