“Rivedendolo ho ricordato tutto”
L'ha detto poco fa una signora, scendendo dall'auto, parcheggiata casualmente in parte alla mia.. Sorrideva: il ricordo doveva essere piacevole, oppure era solo contenta di averlo ricordato.
Chissà a cosa si riferiva.
Non lo so, ma non è importante... è che mi viene da dire...
... Che la memoria è preziosa, tanto per cominciare. Uno può andare fiero dei suoi bicipiti, un'altro può aver ragione di vantarsi delle sue capacità di memoria.
Quelle patologie che riducono, o alterano la normale capacità di ricordare, conducono la persona affetta ad uno stato che ci induce alla compassione, perché la menomazione comporta uno svantaggio evidente, rispetto a noi che “ci ricordiamo le cose”...
“Ricordare” però non è una condizione “on-off”: c'è tutta una gradazione. Si passa dalle facoltà da record, da animale adatto al circo della ricreazione televisiva, alla smemoratezza dei distratti (dove ho messo gli occhiali ?), ai lapsus (cosa stavo dicendo ?), alle rimozioni (per chi ho votato ?), fino ai deficit gravi (chi sono io ? ... beh, di questo deficit parleremo un'altra volta).
E' su questa gradualità che mi vien da dire qualcosa
Intanto domandiamoci, ma quanto è giusto quello che ci ricordiamo ?
La precisione, ad esempio, dipende dalla completezza della percezione, che -oltre ai dettagli oggettivi- include anche la dimensione temporale, che sembra per nulla collegata con le sensazioni memorizzate, e deve essere ricostruita sulla base di minuscoli indizi.
Avevate già notato ? E' molto frequente trovarsi in disaccordo, nella ricostruzione di un fatto, non tanto sui dettagli, quanto sulla collocazione nel tempo.
La scarsa integrazione della dimensione tempo, con il resto delle percezioni esistenziali, è un mio cruccio. So che fate fatica a stupirvi di questa evidenza, che a me invece crea disagio: è come se la dimensione principe del ricordare (ricordare è una traslazione nel tempo di una percezione) si ostinasse a sfuggire all'osservazione...
Come mai al tempo è così facile fuggire ?
Poi, la precisione dipende dal meccanismo con cui torniamo a rendere attuale il ricordo. In effetti si ricorda “adesso” una cosa accaduta nel passato.
Io penso che quell' “adesso” sia una chiave per svelare l'imbroglio... ascoltate un po'....
Uno degli episodi della mia infanzia (mi ero perso in una spiaggia affollata) contiene un errore di memoria che mi ha sempre incuriosito.
Mi ricordavo che ero con i miei fratelli a guardare una barca sulla spiaggia; quando mi sono ripreso dall'incanto di quell'immagine, i miei fratelli non c'erano più. Mi sono messo a piangere, e qualche vicino di ombrellone è riuscito a farsi spiegare da me (avevo 3 anni) dov'era il mio ombrellone, e mi ha riportato alla mamma.
L'episodio è stato evocato molte volte, per cui non posso essere certo che il ricordo sia originale, o piuttosto sia stato modificato dai racconti successivi, degli altri partecipanti.
L'errore del ricordo però riguarda un dettaglio che è emerso solo di recente: la barca era un motoscafo, mentre io ricordo distintamente un galeone.
Si possono fare molte ipotesi, e la più suggestiva è quella che in una vita precedente potrei aver avuto a che fare con i galeoni. Non vi nascondo che ne sono suggestionato, ma se imbocco questo percorso, so che perderei in credibilità, allora lo evito.
La cosa interessante è invece il fatto che probabilmente quel motoscafo era il primo che vedevo (da cui il rapimento, che mi fece perdere il contatto coi fratelli), e l'associazione al galeone non coincide con l'osservazione.
Che si tratti di un'immagine precedente o successiva, poco importa, conta il fatto che non era l'immagine originale. Come dire, non avevo memorizzato i pixel, come una fotografia, ma il loro significato, limitato dalle conoscenze che avevo all'epoca.
Mi vien da dire, che la correttezza della ricostruzione del ricordo, dipende dall'adeguatezza del nostro attuale sistema di interpretazione dei significati.
Ma allora, se è così facile dimostrare che il ricordo può risultare poco veritiero, in che misura possiamo sostenere che le percezioni attuali sono più precise ?
Qual'è la vera differenza tra una percezione ricordata, ed una attuale ? Lo scorrere del tempo ce la sposta istantaneamente nella categoria dei ricordi: impossibile acchiappare l'adesso.
Al massimo te lo senti scorrere addosso.
Se poi il ricordare “fine a sé stesso” viene anche comunicato ad altri, allora entra in campo tutta la complessità della comunicazione, e le trasformazioni di significati, più o meno volontari, più o meno consapevoli.
Io ascolto molto la radio, perché passo molte ore in automobile. Così ho notato che sempre più spesso vanno in onda servizi che ricostruiscono la storia recente, e lo fanno con molta meno riverenza verso il movimento partigiano, di quanto non avvenisse tempo fa, o addirittura evocano dei meriti del regime imposto da Mussolini.
Voi direte: “si sa, è cambiato il governo...”, e questo lo capisco. Direte che qui ci sono da un lato dei dati storici, oggettivi, e dall'altra l'effetto che un certo giornalismo vuole ottenere, pro o contro un certo schieramento politico.
Si potrebbe chiudere il discorso, sostenendo che non è un problema di memoria, ma di conquista del potere.
Però, secondo me, la memoria c'entra, e parecchio, perché solo una minima parte di noi si va a leggere le fonti storiche: di solito la nostra memoria costruisce il passato sulla base di quello che ci viene raccontato. E siccome non siamo tanto bravi ad imparare, le cose ce le ripetono molte volte.
Alla fine il risultato è il convincimento.
La falsificazione della memoria dovrebbe essere un reato. Non so se è un reato mettere un cartello stradale falso, o solo uno scherzo idiota, ma per me sono due cose simili.
Ditemi cosa ne pensate
giovedì 24 luglio 2008
domenica 13 luglio 2008
Convivenza
In questi tempi di olimpiadi, l'argomento dovrebbe essere di attualità, invece nessuno che ce lo ricorda:
"Gli utimi saranno i primi"
Potrebbe sembrare una eccezionale occasione per gli ultimi... con poco sforzo salgono sul podio.
E invece no, perchè appena sono saliti -colpo di scena- non sono più gli ultimi, e riprecipitano in coda.
Una specie di gioco dell'oca.
Così nessuno vorrà essere proprio l'ultimo, ma neppure il primo.
Penso che molti filosofi si siano cimentati con questo paradosso, prima di arrivare al famoso "in media stat virtus". Motto ben recepito da Berlusconi, che in effetti con i media s'è dato da fare, e mi pare siano tutt'ora la sua fortuna.
Come si può vedere, la regoletta dell'inversione delle graduatorie è ricca di retroscena... Sovversione totale dei principi dell'agonismo (qualcuno mi può spiegare, per favore, come mai quella parola è così simile ad "agonia" ?).
A questo punto, uno si potrebbe chiedere "Perchè correre ?".
Sotto sotto, c'è un grande senso di vacuità, che sa da paesi caldi, o di deserto del Qoelet. Ma non c'è fatalismo, piuttosto una sorprendente, cristallina razionalità... riflettiamo un'attimo: perché fare ?
Il fare è una delle malattie della nostra civiltà. Il fare inutile potrebbe rivelarsi la nostra condanna. Vi faccio un solo esempio:
L'altro giorno mia figlia mi ha mostrato dei pupazzetti con cui giocava. Piccole sagome di plastica colorata. Guardanoli bene, si vedeva che erano colorati a mano. Ne aveva 4 di uguali, ed ovviamente, guardati da vicino erano ben diversi, proprio perchè fatti a mano. Credo fossero un omaggio di qualche prodotto da supermercato.
Immagino che oggetti così piccoli siano stati dipinti da bambini, in qualche laboratorio all'estero.
Pensandoci bene, io ho pagato quei bambini
Ma non era quella la mia volontà
Io non volevo che quei bambini perdessero la giornata per dipingere quei pupazzetti, avrei sicuramente preferito che giocassero...
Quella piccolissima frazione di euro che io ho pagato, e che è andata a finire per pagare il loro lavoro, gliel'vrei data volentieri lo stesso...
A me non servono 4 esemplari unici di pupazzetti colorati. Anche mia figlia poteva farne tranquillamente a meno.
Finiranno nell'immondizia tra poco tempo. Neppure riciclabili.
Questo è un esempio della stupidità del fare, ma ne potremmo trovare tantissimi.
Un mio ex capo, che stimo molto, una volta mi sorprese dicendomi: "Guardi Montanari, che qui da noi la bravura è non fare ...". Era da poco il mio capo. Devo precisare che la mia professione è l'informatica, e che se noi facessimo tutto quello che i nostri utenti ci chiedono, dilapideremmo rapidamente l'azienda per cui lavoriamo. Io invece ero ancora sul modello "primo della classe", è quell'indicazione all'inizio mi suonò da sabotaggio industriale, ma dopo mi aprì un po' gli occhi.
Come coi bambini, bisogna saper dire di no. Per il loro bene.
Alla fine, "i primi saranno gli ultimi" mi ha portato al concetto di rinuncia: ad essere il primo, ad avere più degli altri, per un principio di "buona educazione", cioè una regola di base della convivenza.
Potenza delle parole...
"Gli utimi saranno i primi"
Potrebbe sembrare una eccezionale occasione per gli ultimi... con poco sforzo salgono sul podio.
E invece no, perchè appena sono saliti -colpo di scena- non sono più gli ultimi, e riprecipitano in coda.
Una specie di gioco dell'oca.
Così nessuno vorrà essere proprio l'ultimo, ma neppure il primo.
Penso che molti filosofi si siano cimentati con questo paradosso, prima di arrivare al famoso "in media stat virtus". Motto ben recepito da Berlusconi, che in effetti con i media s'è dato da fare, e mi pare siano tutt'ora la sua fortuna.
Come si può vedere, la regoletta dell'inversione delle graduatorie è ricca di retroscena... Sovversione totale dei principi dell'agonismo (qualcuno mi può spiegare, per favore, come mai quella parola è così simile ad "agonia" ?).
A questo punto, uno si potrebbe chiedere "Perchè correre ?".
Sotto sotto, c'è un grande senso di vacuità, che sa da paesi caldi, o di deserto del Qoelet. Ma non c'è fatalismo, piuttosto una sorprendente, cristallina razionalità... riflettiamo un'attimo: perché fare ?
Il fare è una delle malattie della nostra civiltà. Il fare inutile potrebbe rivelarsi la nostra condanna. Vi faccio un solo esempio:
L'altro giorno mia figlia mi ha mostrato dei pupazzetti con cui giocava. Piccole sagome di plastica colorata. Guardanoli bene, si vedeva che erano colorati a mano. Ne aveva 4 di uguali, ed ovviamente, guardati da vicino erano ben diversi, proprio perchè fatti a mano. Credo fossero un omaggio di qualche prodotto da supermercato.
Immagino che oggetti così piccoli siano stati dipinti da bambini, in qualche laboratorio all'estero.
Pensandoci bene, io ho pagato quei bambini
Ma non era quella la mia volontà
Io non volevo che quei bambini perdessero la giornata per dipingere quei pupazzetti, avrei sicuramente preferito che giocassero...
Quella piccolissima frazione di euro che io ho pagato, e che è andata a finire per pagare il loro lavoro, gliel'vrei data volentieri lo stesso...
A me non servono 4 esemplari unici di pupazzetti colorati. Anche mia figlia poteva farne tranquillamente a meno.
Finiranno nell'immondizia tra poco tempo. Neppure riciclabili.
Questo è un esempio della stupidità del fare, ma ne potremmo trovare tantissimi.
Un mio ex capo, che stimo molto, una volta mi sorprese dicendomi: "Guardi Montanari, che qui da noi la bravura è non fare ...". Era da poco il mio capo. Devo precisare che la mia professione è l'informatica, e che se noi facessimo tutto quello che i nostri utenti ci chiedono, dilapideremmo rapidamente l'azienda per cui lavoriamo. Io invece ero ancora sul modello "primo della classe", è quell'indicazione all'inizio mi suonò da sabotaggio industriale, ma dopo mi aprì un po' gli occhi.
Come coi bambini, bisogna saper dire di no. Per il loro bene.
Alla fine, "i primi saranno gli ultimi" mi ha portato al concetto di rinuncia: ad essere il primo, ad avere più degli altri, per un principio di "buona educazione", cioè una regola di base della convivenza.
Potenza delle parole...
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